Bubu, all'Oberdan, la settimana scorsa, ho avuto l'occasione di vedere un meraviglioso film; niente di sorprendete quando si parla di Luchino Visconti, ma "La caduta degli dei" (1969) mi ha stravolto per intensità d'immagini ed emozioni. Da guardare ora, perché incarna un'opera d'arte monito di sommo valore.
Film potente, solido, nulla da spiegare è tutto sullo schermo. Con angoscia pura lo spettatore guarda brutture e debolezze umane sempre attuali: negli ultimi mesi in particolar modo, stupidità e avidità, tra le infinite caratteristiche, fanno la parte del leone. Quando a queste si aggiunge la paura di chi intuisce e non fa nulla, il baratro è al piano di sopra. Non resta che guardare immobili la bambina "società", mai maturata, dirigersi verso una violenta autodistruzione. Autocombustione, in questo film: le fiamme hanno dita sottili ed affusolate, ma il palmo è quello del massacro, ogni principio, ogni valore stritolato. Il titolo, in questo senso, suona ironico e terrificante. Disfatta di omuncoli e di ogni alto credo.
Come detto, tutto chiaro, l'analisi del conte di Lonate Pozzolo è lucida e attenta (proprio quell'aristocrazia che si autoelegge, ereditariamente e non, "dei migliori", nel concreto è solo un branco di zombie ottusi e miopi, incompetenti anche alle faccende di casa, ehm, palazzo). Il pubblico può, quindi, dedicarsi alla contemplazione delle stupende immagini e sequenze realizzate dal regista. A partire dalla primissima sequenza, in cui l'allestimento di un pranzo (inquadratura dai bicchieri sul vassoio e loro disposizione in tavola) diventa una sinfonia visiva, movimento e colori a fondersi in arte. Oppure, poche scene dopo, quando la m.d.p. danza per condurre l'attenzione dell'osservatore: zoomata sul servo in livrea blu con decorazioni gialle, zoomata all'indietro e ripresa dell'allestimento dello spettacolo per festeggiare il capo famiglia. Bocche spalancate e ossequioso silenzio in sala. In seguito, si rinuncerà a tenere a mente le meraviglie proiettate, concedendosi la libertà di godersi lo spettacolo, mollando il guinzaglio di occhi e mente.
Il risultato sarà un viaggio di due ore e mezza vissuto col groppo in gola, cani rabbiosi sempre alle costole, al cospetto di interpreti grandiosi: Dirk "Friedrich" Bogarde è realmente vittima di sé, esecrabile essere umano come tutti noi; la bergmaniana di sole e ghiaccio, Ingrid "Sophie" Thulin, è odiosa quanto odia, penosa cretina impazzita, tanto schiava di potere da strisciare finanche alle labbra del figlio; infine il feticcio visconteo Helmut "Martin" Berger, supremo folle senza punti fermi; la stupenda, affascinante Charlotte "Elisabeth" Rampling (nel recente "Melancholia" dimostra al mondo quanto uno sguardo sia per sempre). Toh, per caso, a distanza di pochi giorni, ho ritrovato anche, con la stessa espressione, il Targhini di "Nell'anno del signore" (Renaud Verley). Poi c'è l'ufficiale delle SA, Reinhard "Kostantin" Kolldehoff che tutti ricordiamo per la grande prova in "Lo chiamavano Bulldozer"...
Atroce e sontuosa pellicola del maestro di stile Visconti, una delle sue che amerò di più.
(depa)
Eccomi sul pezzo, Depa!
RispondiEliminaUna pellicola imponente. Grandiosa per la qualità delle immagini e le interpretazioni degli attori, come hai già perfettamente sottolineato tu, e per la trama che prende direzioni imprevedibili per tutte le due ore e mezza di film, nelle quali i momenti di sorpresa e sgomento arrivano senza soluzione di continuità, resi ancor più potenti dal genere e l’uso della colonna sonora, per lo più eseguita da un’orchestra sinfonica a predominanza di strumenti a fiato.
Dietro al potere politico ce n’è sempre uno più importante che muove i fili nell’ombra e negli anni ’30, ai tempi del nazionalsocialismo, non poteva che appartenere a chi fabbricava e distribuiva armi. Persino Hitler, a confronto di esso, pare solo un’insignificante fotografia appesa ad un muro, i soldati pedine (spesso sacrificali) inconsapevoli e la vita umana non vale niente, a meno che la perdita di essa da parte di qualcuno non porti dei vantaggi a qualcun altro.
Visconti propone e intreccia con eleganza le vicende e il clima di terrore di quegli anni a quelle agghiaccianti per rapporti e (dis)valori della famiglia Von Essenbeck.
L’aristocrazia non pensa, non crede, ma semplicemente esegue a suo vantaggio e gli Dei finiscono per cadere uno ad uno al cospetto dell’unico vero Dio denaro.
Concordo: meraviglioso.
Ps: rinforzo di pernacchia per la Elle! :)