Nonostante le delusioni che già
mi ha dato in passato, imperterrito ho deciso di continuare ad approfondire la
conoscenza di Ken Loach, così, qualche sera fa, in sala Ninna, mi sono buttato
su “Riff Raff”, pellicola che, nel
1991, fece conoscere definitivamente il regista inglese al grande pubblico.
Altro film di denuncia che questa
volta va ad indagare le condizioni di vita e lavorative di una squadra (marmaglia)
di operai edili e, in particolare di Stevie (Robert Carlyle, per gli amici
Begbie).
Vi vorrei raccontare di un film
importante che emoziona mostrando la solidarietà e l’amicizia sincera che nasce e cresce, giorno dopo giorno, lavorando
fianco a fianco, tra gli operai; tutti insieme in cantiere a sgobbare per
qualche soldo per pagare l’affitto e da spendere al bar con gli amici e
sperando sempre di portare a casa la pellaccia. Dei maltrattamenti e le
umiliazioni da parte del superiore e lo stato d’ansia che non molla mai lo
spettatore per la palese mancanza di norme di sicurezza e di come invece gli
operai non la sentano, perché il “black
humor” e lo sfottò bonario
cadenzano le loro giornate, altrimenti le otto ore di lavoro non passano più e se
poi tocca fare pure lo straordinario, ciao…
Ma questo è il film che avrei voluto
io (beccatevi sta supercazzola!), avendo vissuto in passato quell’ambiente,
mentre in realtà questa pellicola manca ancora una volta di qualcosa.
I personaggi sono ben calibrati e
lo spirito di cantiere è reso in maniera efficace. Arriva infatti il clima
scanzonato che permette di arrivare a fine giornata, ma le altre sensazioni
sopradescritte le ho ricordate, non percepite. Nonostante i palesi sforzi del
regista, non arriva la suspense che
introduca l’evento tragico e l’angoscia per lo stato di pericolo continuo degli
operai. Altro film di Loach che manca di “poesia”, quella, per esempio, che si
respira accanto all’operaio Lulù di Petri, per capirci. L’evolversi della trama
è abbastanza prevedibile e il personaggio femminile e la storia dei due
protagonisti, parallela a quella della vita di cantiere, mancano di originalità
e fascino.
Davvero poche emozioni e il
finale drammatico suona tanto come un ultimo disperato tentativo di lasciare un
po’ di sgomento nello spettatore, ma purtroppo le condizioni di lavoro e quindi
i rischi degli operai nei cantieri sono tristemente arcinoti (per lo meno, al
sottoscritto) e la reazione del protagonista alla tragedia è scontata, ergo altro film di Loach di cui non mi
so spiegare il successo.
(Ste Bubu)
In soldoni la penso come te. Anche per me è inspiegabile, così come lo sono alcune scelte scellerate, infantili del regista. Si assiste, così, alla solita sequenza di stereotipi, canzone retorica che, ecco un piccolo punto di disaccordo, mi ha dato una leggera tregua durante le fasi private del protagonista e della sua bella. Può essere che io abbia sentito i momenti in cantiere poiché non lo conosco, se non di striscio. Hai sottolineato giustamente lo humor nero che allevia il dolore, ma la sequenza del funerale è tremenda, qui è il regista a "svalvolare"...
RispondiEliminaE sì, alla fine muore proprio lui. Imperdonabile. Ah, c'è anche un bel buco...sigh. Eppure ce l'aveva quasi fatta, salvandosi in corner sino a 8 minuti dalla fine. Ma la squadra, in ogni caso, non girava. Siamo sinceri. Quell'incendio può risultare più barocco e meno dilaniante delle colorate esplosioni antoniane. Ecco la differenza: Signore e Signori, a voi gli anni '90...