I sogni che diventano incubi

Dopo "L'arco", il film proposto nella rassegna dello Spazio Oberdan dedicata a Kim Ki-Duk è "Dream", girato nel 2008; si tratta di un'altra invenzione, particolarmente audace, del regista sudcoreano, una sorta di thriller psicologico che inizia quasi per gioco e finisce in tragedia, con un occhiolino ai film del grande Hitchcock.
Con quel coraggio di cui ho già scritto fino alla nausea, il regista decide di percorrere un sentiero che i cinefili più snob non possono che ritenere minato. Le carte vengono messe sul tavolo subito, senza remore. Qui c'è qualcuno che sogna qualcosa che un sonnambulo, nel frattempo, compie. Storie paranormali. Ci sarebbe di che preoccuparsi. E invece no. Con estrema nonchalance e intelligente ironia, il regista un po' sembra crederci sul serio (la realistica disperazione dei protagonisti), un po' mostra un sorriso distensivo (il commissario di polizia o alcune trovate dei protagonisti per resistere al sonno), intrattenendo anche lo spettatore più esigente.
La forza del sonno è resa con efficacia, così come quella dell'amore e quella del ricordo. Kim Ki-Duk può anche azzardare scene pericolose come quella del sogno con tutti i protagonisti, può persino alzare oltremodo la percentuale di sangue nel finale di pellicola, ma ne verrà fuori una nota più acuta, quasi stridente, ma mai una stonata, fuori luogo.
Io che sono particolarmente allergico alle "tornatorate", ho un po' sofferto la farfalla finale...e il suo ricongiungersi con la sua Controparte", ma a chi inventa due suicidi di quel tipo (lui: quel tonfo anticonvenzionale sulla superficie ghiacciata; lei: la scaletta sulla schiena della "coinquilina") non posso che tributare un inchino rispettoso.
(depa)

1 commento:

  1. Altro gran bel Kim Ki-duk. Il regista coreano si è inventato un’altra storia incredibilmente affascinante nella sua surrealtà, così credibile per i sentimenti messi in gioco e il destino opposto e comune che unisce i due protagonisti, così incredibile nella sua essenza. Lo scenario c’è e la storia può essere vissuta tutta d’un fiato, con il cuore in gola e la curiosità di scoprire dove andrà a parare questa volta l’idolo, e infine stupirsi. In questa pellicola però il finale, per come ho vissuto io la storia, è obbligato, così che il tonfo sulla splendida inquadratura del fiume ghiacciato è assorbito con una discreta nonchalance, al contrario della maggior parte delle scene che sono di un’intensità che è unica del regista coreano. Su tutte, la potentissima scena della “litigata a quattro” (“il sogno con tutti i protagonisti”, di cui scriveva Depa), appassionante e dipinta meravigliosamente da Kim che, dunque, in generale, ha ancora una volta soddisfatto a sufficienza le mie, a sto giro sempre più alte, aspettative.

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