Sabato pomeriggio pre-derby. Per riempire un pomeriggio vuoto e per realizzare quel dialogo che, a volte, ha la puntina guasta, scelgo il Cinema. Avrei voluto rispondere a una delle ultime recensioni, ma all'Ariston di Vico San Matteo offrono solo "Argo" ed "Acciaio"...mi tappo il naso ed entro nella sala di sopra, quella in cui proiettano il secondo lungometraggio di Stefano Mordini, classe '68.
Non ho visto il primo lavoro del regista ("Provincia meccanica", 2005), né ho letto il libro omonimo, cui la pellicola aderisce (Silvia Avvallone, Biella, 1984).
Posso dire che mi aspettavo una storia di questo tipo (Elena me ne parlò, in maniera critica, dopo la lettura) e di certo non vi ho trovato nulla di nuovo, né di esaltante. Protagonista le turbe giovanili insondabili e inspiegabili, figurarsi per non-genitori campati per aria, per città che sembrano creare sacche di "non vedo, non parlo, non sento", non mi avvicino. Trasversale e in ogni luogo questa malattia. Propria dell'ultima evoluzione della società, "last version" davvero, intrinsecamente, fallace. Come detto, niente di nuovo sul piano dei contenuti, ma bisogna dare atto al regista che viene dal paese di Dino Campana (può non essere un caso) di aver saputo rendere con buona efficacia la distanza tra gli gli individui.
Nella canicola dei pomeriggi d'estate tutto è un colore che opprime e il regista quel colore lo sa cogliere (mi viene in mente anche lo scadente "Ruggine", ma perché vado a vedere gli italiani?). Il colore marrone-arancione dei capelli della dolce Anna quando il tramonto li va a incontrare, quello de La Fabbrica, imponente e agghiacciante Sig.ra Padrona di una Piombino operaia, quello dei mattoni delle case popolari...
L'atmosfera, tra le missioni primarie di un film, è ben creata, nebulosa e senz'appigli (il suono ben sfruttato; la fabbrica che zittisce, il mare che affabula): il girare a vuoto che può portare al corto circuito esistenziale è reso senza intoppi; anche se ci si appoggia senza troppo coraggio agli stereotipi, ahimé spesso reali, grossi errori non ci sono. Bravi gli attori, grandi e piccoli.
(depa)
Letto il libro, che ho trovato godibile, penso che il regista abbia colto, se non proprio tutti, molti aspetti (l'insistenza della fabbrica e delle altre cose là fuori, oltre alle correnti di dentro).
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