Ammalarsi per mancanza d'amore e libertà

In questo quarto appuntamento in sala Ninna col cinema di Massimo Troisi, con "Le vie del signore sono finite" (1987), il regista, sceneggiatore e attore partenopeo ci mostra una faccia nuova della sua arte: più matura e più intraprendente, figlia di una nuova consapevolezza di sè sicuramente acquisita dopo l'uscita della precedente riuscitissima pellicola girata due anni prima con Roberto Benigni, "Non ci resta che piangere", già visionata e apprezzata qualche anno fà in sala Uander e recensita sul 'rofum dal Taigher.
La sceneggiatura è più originale e accattivante.
La storia è ambientata ai tempi del fascismo e, per questo, un personaggio scanzonato e irriverente come Massimo Troisi (Camillo nella storia) incontra spesso le sue belle difficoltà. Memorabile la scena nella quale ha una reazione istintiva e, appunto, scanzonata ad un racconto narrato con convinzione e decisione da un'amica di Vittoria (Jo Champa), la donna che ama, che pone l'accento sul fatto che, da quando Mussolini era salito al potere, i treni avevano cominciato ad arrivare sempre puntuali: "Per fare arrivare i treni in orario, però, se vogliamo, mica c'era bisogno di farlo capo del governo: bastava farlo capostazione!". Per questo Camillo viene arrestato.
Anche la storia d'amore, comunque sempre presente come leitmotiv, contiene risvolti più profondi. Un risvolto sociale: Camillo è un uomo di umili origini che di professione fa il barbiere, mentre Vittoria è di origini nobili e per questo lui incontra grosse difficoltà a farsi accettare dalla famiglia di lei e Vittoria stessa fatica ad ammettere di essere perdutamente innamorata di lui. Un risvolto psicologico: Camillo non riesce a dichiarare il suo amore per Vittoria e per questo si ammala perdendo l'uso delle gambe, che riacquisterà e riperderà nell'arco del film, a seconda se l'amore per lei diventa più plausibile o meno.
Come sempre nei film di Troisi la recitazione da parte di tutti gli interpreti è ottima, graziosa la scenografia che riproduce fedelmente l'Italia deglia anni '30 e gradevole e pertinente la colonna sonora di Pino Daniele.
Una pellicola originale e, ancora una volta, divertente, anche se forse, a favore di un film più completo ed equilibrato, mancano quelle due o tre battute esileranti che alla fine dei due film precedenti firmati "in toto" Troisi, restavano in testa e facevano ridere al solo ripensarci .
Ma intendiamoci, spesso ho sorriso anche durante la visione di questa pellicola, seppur devo ammettere che ogni tanto ciò può essere successo per una mia distrazione, pensiero, ricordo di un autogol sotto la nord.
(Ste Bubu)

1 commento:

  1. Altri sketch indimenticabili del simpatico e capace attore napoletano. Al di là della trama, che, sì, tiene compagnia ma non verrà certo ricordata negli annali (e i risvolti altri sono molto semplificati) e alla recitazione che, a parte Troisi e Marco Messei (sempre perfetti nelle figure instabili), lascia un po' a desiderare, portandosi a presso quel gusto di soap opera che il cinema nostrano di oggi raramente abbandona, riesco ad apprezzare questa pellicola proprio per alcune battute davvero azzeccate, il più delle volte legate a doppio filo all'ironia ed ai modi di dire delle terre partenopee, come:
    - "Lei è di sopra?" o
    - "Che è?! La maronn', non è cheee..." o
    - "Tu sei intelligente, lei è intelligente...tutta sta intelligenza...è scoppiata così?!" e, la frase che il Taigher mi raccontava spesso, tra una chiacchiera su di un libro e un'altra...:
    - "E ma quelli che scrivono so' tanti, io uno solo..eh! Io leggevo, altri ne scrivevano migliaia, allora ho detto ma va'..." (a grandi linee :) ).
    Mitico Troisi, questo non è il suo più bel film (finale un po' sciupato), ma contiene altre sequenze da inserire nel suo album di ricordi.

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