Appena tornati dalla visione di "Hiroshima mon amour" si è ancora un po' addormentati. Il film del 1959 del regista francese Alain Resnais, supervisore della Nouvelle Vague, trasuda della letteratura di Marguerite Duras e, soprattutto, del suo "ritmo".
Proponendo allo spettatore un incipit, difficilmente ignorabile e dimenticabile, ricco di tragica poesia, lo sterminio di massa della città giapponese e dei suoi volti come protagonista. Ma poi, poi emerge il soggetto che sta dietro al film. Per un'ora io ed Elena reggiamo, poi, al trentesimo "Conosco Hiroshima", le braccia si dirigono verso il basso. Non è certo la forza espressiva o la pulizia stilistica a mancare al regista di Vannes (quell'onirico e acquoso mondo di "Mio zio d'America"), è evidente. Un film su questo testo che, come altri della scrittrice, cerca ossessivamente di toccare i turbamenti più o meno nascosti dei protagonisti, poteva farlo solamente un autore che padroneaggia il montaggio come il gran chirurgo il suo bisturi. Non si discute. Però...bisogna essere disposti a farsi coinvolgere dai romanzi della Dumas, cosa che io, sfortunato, non sono. Sento il "ritmo" dei suoi libri e non si muove il piedino.
Echi bergmaniani si posano sui volti di Emmanuelle Riva (apprezzata ultimamente in "Amour"), nonché sui flashback così bene studiati e reinterpretati da Resnais.
Un film elegantemente e accanitamente pacifista, ma mielosamente e ossessivamente romantico, così esistenziale non credo.
Come vedere un panorama grandioso. Ancora un po'. Un pochino. Oua basta con 'sto "Nevers"!
Storia del cinema, ma quella un po' tostina da portare all'esame.
(depa)
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