Caro, caro Bertolucci, unico legame ormai, assieme a Benigni, che mi tiene ancora in flebile contatto con il cinema italiano. Il rapporto si interruppe bruscamente nella primavera del 1995, durante la visione di un Tornatore d'epoca, "Una pura formalità". Ti vengo a vedere più per di nostalgia e rispetto, ma mai mi deludi. Questo tuo ultimo film "Io e te" non è un capolavoro, certo, ma con l'”Ultimo tango” credo tu abbia segnato un limite ineguagliabile, perfino a te stesso e comunque, in suo nome, ti perdonerei qualsiasi svarione.
Ma non è questo il caso, ci hai regalato un piccolo cameo, dove intelligenza e sensibilità sono in perfetto equilibrio, come sempre. Ritrovo qui la summa dei tuoi temi prediletti. L'angoscia di adolescenti e giovani adulti che si affacciano alla vita sgomenti e privi di strumenti, l'impreparazione e la colpevole superficialità di adulti che sembrano non essere stati mai ragazzi. Le ineludibili, proprio perché universali, istanze edipiche di tutti noi che fin dalla nascita non abbiamo altro riferimento che il genitore del sesso opposto, modello unico su cui forgiare i successivi rapporti d'amore. Il passaggio è traumatico, mai indolore e gli strumenti a cui ci si affida sono disparati e utilizzano quel poco o tanto di cui disponiamo. Qui c'è un quattordicenne introverso e privo di relazioni interpersonali, un padre che non si vede, una madre che parla di lui dietro ad una porta vetrata, preoccupata ma inadeguata, che non escogita di meglio che affidarlo ad uno psicologo. Il ragazzo decide di ritagliarsi una tregua da quel nulla che lo circonda stipando una squallida cantina di tutti gli oggetti più interessanti che possiede: merendine, lattine, computer, CD rom, fumetti e libri fantasy. Tradotto in termini psicoanalitici, si circonda dei suoi oggetti transizionali, "copertine di Linus" con le quali attraversare il guado, passare oltre con un po’ meno paura. In quell'oasi di quiete irrompe l'inquietante presenza di una sorella pressoché sconosciuta che scompagina quei propositi di quieta solitudine. Ma l'intrusa diventa l'oggetto transizionale stesso, la presenza che renderà più agevole il suo ingresso nel mondo, finora così temuto e dunque procrastinato. L'incontro-scontro con la sorella rimossa gli consentono finalmente un confronto con l'altro diretto e non più mediato dalla fragile madre combattuta e rifiutata in quanto ritenuta onnipotente. L'ambivalenza verso la figura femminile si scioglie in un ballo prima solipsistico e poi condiviso, infine in un abbraccio liberatorio che scioglie ogni tensione. Girato con tocco lieve (la materia è delicata) e tanta tenerezza verso i protagonisti, letteralmente accarezzati dalla m.d.p.. Azzeccata la scelta delle musiche (fantastica il pezzo "Ragazzo"), un po’ retrò, come del resto gli oggetti della contessa: il passato, il fardello di cui liberarsi, l'infanzia, non è cosa da poco e comunque non tutto va buttato. Il futuro è comunque incerto, nel pacchetto di sigarette della ragazza resta pur sempre la tentazione della dipendenza e dell'annientamento. L'uscio di casa può schiudersi su una madre ancor più rigida e inviperita per la scoperta dell'inganno ordito, ma una cosa è certa: dopo questa esperienza nessuno dei due sarà più come prima. Grazie ancora e scusa per l'intimità e la confidenza, ma la assonanza emotiva evocata dal tuo film ne ha richiamato altri (“La luna”, “The dreamers”, “Io ballo da sola”), visioni che hanno scandito la mia esistenza di spettatrice per un arco di tempo assai esteso, da lì forse il tono elegiaco e soprattutto la nostalgia…
(marigrade)
Sottoscrivo, un film molto piacevole, merito anche del libro di Ammaniti che lo ha ispirato.
RispondiEliminaLa chicca è sicuramente il ballo sulle note della splendida cover di David Bowie.
Avendo letto prima il libro, la figura della sorella mi è sembrata troppo "fatta", un personaggio che alla fine risulta stucchevole.
Comunque un film da vedere.
Ottima recensione. Lucida e accorata. Coinvolgente forse più del film, quest'ultimo certamente meno del libro. Se il culmine della pellicola è quella musica del passato, quindi emozione adesso e nostalgia di ieri portate all'ennesima potenza, qualcosa però vorrà dire.
RispondiEliminaComunque, seppur malato di un virus trasmessomi proprio da Marigrade, ho trovato il film accettabile.
Una pellicola ambientata in una cantina non è certo roba per principianti e figurarsi come ne può uscire il pluripremiato parmigiano; eleganti movimenti macchina sapientemente "mimetizzati" in questa storia dal volto un po' ancora sbarazzino, un po' già deturpato.
Brava la protagonista, nel ruolo che le hanno assegnato (concordando col commento di Veronica).
Unico appunto, nessuno balla da solo come il protagonista (che tra l'altro è il fratello minore del capodrugo "Alex" McDowell, incredibile), in preda alle convulsioni: in quel caso, eccessiva verve cinematografica.