Già che siamo con William
Friedkin, perché risalire agli albori della sua filmografia? Nel 1981, il regista dell’Illinois diresse “Cruising”,
salto nell’hard core della trasgressione omosessuale. Stile sporco, atmosfera
depravata, un piccolo cult da non tralasciare.
New York. Membra di casi irrisolti. Atmosfera densa. Simone e Jerry del 6° dipartimento tormentano i Freddy Mercury in voga della zona (ma servono prove vere, numeri
di matricola). “Capitano Edelski?”, ahaha, si presenta così Burns, a.k.a.
Al Pacino. Infiltrato perché ha un non so ché (ottimo per sadomaso). “Ci sono
tante cose che non sai di me…”. Tempi spinti, Pacino subito nel ruolo. [Tony
Mancuso c’entra in qualche modo con questi casi di homo killer] “You
make me do that”, in luoghi appartati. Impronte digitali, nella profonda e
scabrosa G. Immagini libertine, intreccio naif, ecce il cinema di
Friedkin? Le note vanno e vengono, sempre presenti col cappello da cruise-police.
“Verrà il giorno in cui ne dovrai arrestare centinaia”, si ammette nelle "centrali". Finale per me
enigmatico (chi ha ucciso il vicino?), cos’avrà voluto dire?, che ben
chiude l’alienazione trascorsa sullo schermo.
Comprensibili le critiche accesa di alcune associazioni del tempo, ma ad oggi
possiamo rivederle. Oltre al fatto che fosse “una parte-non-per il tutto”, oggi
emerge la maggior sincerità rispetto alla odierna rappresentazione, correttissima
e alienante (una visione più chiara sulle mode, nonché sull’operato delle forze dell’ordine). Forse
è per questo che “Cruising” ha guadagnato invecchiando.
(depa)
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