Con Elena al Sivori per il Walter Salles delle stazioni
centrali e per il cinema brasiliano. Doverosa Agenda, del 2024, “Io
sono ancora qui” si iscrive nel classico filone della testimonianza, sul colpo
di stato e dittatura fascista propri. Biografico che nulla potrà dinanzi al
prossimo scempio del Nuovo Capitale.
1971. Spensierati, tempi di cocacola e nivea. Sullo sfondo della famiglia, si
esercitano gli eserciti. Lo sguardo di Salles, Camera “a braccia”, risulta
subito intimo. E coglie anche la feroce paura dei carcerieri di fronte ai
liberi. Democrazia e dittatura a stretto giro (nella seconda, una voluta
appariscenza). Borghesia al muro, come deve un film di testimonianza e (auto) critica.
L’indifferenza delle tavole calde. Brutto segno quando la Signora non dispera
più per la pelliccia. “Tot. prigionieri per un ambasciatore”. Resti di bonaccia
nella primissima tempesta. Ma, in questa società, chi sorride lo fa sulle
lacrime di altri. “Va giù!”. Avvisaglie di una scrittura attenta (l’intreccio
dal romanzo autobiografico di Marcelo Rubens Paiva, amico di famiglia del
regista). “Cospirare contro la rivoluzione” che? Quale? Difatti: “voglio che
sappia che non sono d’accordo”. A parte i sempiterni e ingiustificati buonismi
(“Stato è la guardia all’ingresso del tribunale”), la sua orchestrazione è
efficace: musiche e fotografia della memoria (ovattata). Certo, Salles va pazzo
per foto e filmini…ma chiudi sulla scatola, cazzo!, che puoi solo rovinarlo col
finale più retorico e scontato! Di male in 2014. E avanti a giocar sporco col
tempo...Chicca finale: Eurice è convinta di combattere lo stato con la legge.
Ma rimane ottima l’interprete principale, Fernanda Torres: sfumature sul volto,
segnato da dolore e determinazione: invero la sua formazione. Vivere e gioire
per un certificato di morte. Progresso!
(depa)
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