Mio come me

Dalla coppia di registi iraniani Maryam Moghaddam, classe 1969 (“o 1970”) e Behtash Sanaeeha, una piccola grande pellicola, capace di colpire con carezze, di invitare alla vita con la morte. “Il mio giardino persiano” (2024, t.o. “My favorite cake”, per una volta l'italiana ha qualcosa in più: il privato): l’amore ai tempi e nei luoghi del totalitarismo. Dietro al fugace già sconsolato sorriso dell’individuo, un tremendo boato perfora i timpani dei responsabili istituzionali.
Non ripeto mai abbastanza…che cosa? Diffidate dei trailer. In alcuni casi, come questo, poverini!, non potrebbero far meglio. Così infantili, cosa potrebbero con una racconto che supera le immagini? Seguiamo Mahin, il suo incontro con Faramarz, contempliamo Mahin & Faramarz. Sarà retorica dei buoni sentimenti? No, il cinema iraniano ha altre urgenze (politiche perché sociali). “Previsioni ottime, stagione soleggiata”. Commedia brillante e pastello, su solitudini e distanze, che copre veloce come un film non iraniano, tanta è la voglia. Dialoghi espliciti, tutto “genocidio”. Il QR code è il successore del café glacé. Non vi sono “tempi felici” dopo “l’esercito” (taxista fa rima con farmacista, over 70 con preoccupazioni). Solo ai veterani “tarr e tomba gratis”. Il benefico sapore di una chiacchiera (con un caterpillar!). “Preoccupazione” è una chiamata persa, quando c’è l’autorità. O un’altra Polizia morale. Si percepisce la potenza antiautoritaria della sequenza di allegra e libera danza. La crudele allegoria si spiega nel finale infartato: non v’è salvezza nello Stato.
(depa)

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