Ieri sera energie conservate per Hong Sang-soo, adocchiato tra le nuove
uscite di giovedì. Alle 21,30, nella minuscola “FilmClub”, oltre a noi due, un
trio lescano niente male. Ciarlieri...ma anche noi abbiamo pop-corn pronti per
il “Rohmer” sudcoreano. Molto di più, “Una viaggiatrice a Seoul” (t.o. “A
traveller’s needs”), è uno splendido cinema relazionale, quindi sociale. Gran
premio della Giuria a Berlino scritto, diretto e montato dal sudcoreano. Leggerezza e/o profondità?
Alla “Film Club” della Minerva dobbiamo questa preziosa distribuzione del regista conosciuto tra i festival e sponsorizzato dal nostro "Foglio". “Sarà
facile”, con superficialità, orgoglio. Nella sala a 4 file, si casca impunemente
nelle trappole dell’autore di Seul. Vanità, ma chi non ce l’ha! Una professoressa
di francese, creativa, dallo sguardo in-camera, si accorge subito quando una
persona “vuole sempre essere qualcun’altra”. Convenzioni, anche senza libro di
testo (anzi). Minimalismo efficace, il modello è hanekiano, tra gli altri c’è anche
Puiu. Zoom sul cane, capolavoro (qual è la gradazione del makgeolli? E la variante..?). Stile decanter, relazioni a macerare. Un film che vede lungo se il tizio
dietro di noi, al primo giro, esclamò: “Eh, ma è vero, è per la melodia!”…”Mio
padre non era bello, come me”. Iris spinge, pressa, avanza (adora il pane). Poesia
e…Musica come fuga. La fitta operazione di tradurre è ormai un’app. “Non ti
farei mai del male!”, e si riparte (nuocendo pure alla salute). Il quadro è
così graffiante da solleticare, così freddo da ridere. Solo quando una mamma guarda
il figlio che mangia, Hong pare calmarsi. Piccole gazze, fragili fiori-parola incomprensibile-, ormai fuori luogo. Scrittura e interpretazioni strepitose (non solo, ancora, Isabelle Huppert). Consigliatissimo. Difatti stasera stiamo ancora con "Hong è il cognome".
(depa)
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