Dalla parte degli oppressi, normale correre se vedi un
iraniano nelle sale. Con Elena all’“Ariston” (e un'altra coppia, mentre madre e
figlia saputa la durata “domani va a scuola” sono fuggite) per “Il seme del
fico sacro”, prodotto, scritto e diretto da Mohammad Rasoulof (Shiraz, 1972). Persecuzione,
repressione, un altro resistente non molla la cinepresa per raccontare la vita
in uno stato teocratico. Dovremmo trarre tutti gli insegnamenti…
“Premio speciale della giuria” a Cannes. Dovrò cercare di essere più sintetico
del regista (due paginette nell’agendina). Il fico sacro che stritola e
prevale. Giudice istruttore (non ancora supremo!), cioè boia. In Iran come
ovunque. L’ossimoro tribunale rivoluzionario non sarà mai “amato”. Ma imposto, manu
militari necessariamente. Hijab, Irreprensibile, Internet: ad ognuno
le sue 3I. Rispettare la legge…l’ingenuità di novizi, matricole, tirocinanti, stagisti
è sconsolante. L’ennesima “mela buona”? Per fortuna no. Non ci vorrebbero due
ore mezza per una tal messinscena (basterebbero i primi 15 minuti…). Repressione
esistenziale, cuore rosso, cuore bianco. Le parole della madre borghese
iraniana sono le stesse di una madre italiana della stessa classe sociale. Selfie
unica evasione (sigh). Il sesso è una lavastoviglie. No, dopo 2 ore, il
rimorso…Ma quando si esegue un ordine, la responsabilità, dove va? Se, CIAO;
aspetta e spera guardando lo sguardo bovino di poliziotti, soldati o lubbrani. L’obiettivo della videocamera del padre puntata contro i
suoi familiari segna fisicamente la distanza tra generazioni intere (oltre che
tra genitori e prole). Delirio paranoico aggressivo: il padre è la Ragione di
Stato. “Se gli ridai la pistola non cambierà niente”, il monito dimenticato di
tutti gli sfruttati. Andate a testimoniare (poi…).
Donna Vita, Libertà!
Donna Vita, Libertà!
(depa)
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