E' stato un onore inaugurare, dopo 5 colpevoli mesi, la Sala Navetta con nientepopò che Marco Ferreri. Non vedevamo il caustico e criptico regista da quell’assurda udienza del “2019”. Era ora di rituffarsi, a piccoli bocconi, nel cinema del milanese: quattro pasticcini da lanciare in faccia al “buon costume”, così vuoto, così sterile. "Marcia nuziale", del 1966, è il sesto film di Ferreri (terzo italiano).
Il primo bon-bon per le “Prime nozze”. Professionalità non solo apparente (anche se il panino) quando si tratta di pedigree, robe serie…(“Perlomeno il cane!”). Ma non c’è truffa, se non quella ecclesiastica. Sul grande schermo non la commedia all’italiana, ma il grottesco sociale marchiato Ferreri e co-firmato dalla spalla destra Rafael Azcona e dalla spalla sinistra Diego Fabbri (Forlì, 1911-1980). Siamo carne da altare. Nel secondo servizio, Tognazzi è un papà stanco (“No, due cuscini no, poi ti viene il doppio mento!”). Una bella ronfata è quel che ci vuole. Che coppia! “E adesso dove vado?”, grande Ugo Tognazzi (con qualche donde…). Poi un altro piatto (“No refreshment”), seppur con diversi presupposti. L’amore il pomeriggio. Sesso come terapia schedulata “per salvare l’istituzione matrimoniale!”. 4. “Famiglia. Disuguaglianza come stimolo di progresso”. "Saremo felici in questo III° millennio” plastificato, come gomma usa e getta.
(depa)
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