Giovedì è uscito nelle sale
genovesi l’ultimo film dell’idolo del Cinerofum Kim Ki-duk.
Domenica di pioggia, giornata di
mare che salta e mi si è presentata questa occasione imperdibile di ammirare e
vivere questo “Moebius”. Così, ieri
pome, con carta e penna in saccoccia
(Depa docet) e uanderina in mano, mi
sono avviato verso il cinema Corallo, con un po’ di sano reggae nelle orecchie
al fine di arrivare bello rilassato, sperando così di attutire la bottazza d'adrenalina che ero sicuro mi
stesse aspettando. Niente da fare: dopo cinque minuti di pellicola ero già in
apnea…
Kim Ki-duk è il solito maestro
nelle riprese di dettagli e primi piani che catturano l’attenzione inquietando
il giusto e l’argomento del film è molto forte, così che, fin dai primi minuti,
mi sono sentito catapultato nella storia.
L’errore più grossolano che si
può fare nel giudicare questa pellicola, però, a mio modo di vedere, è proprio
soffermarsi sull’argomento di partenza e sulle immagini crude con cui ci viene
introdotto.
Un ragazzo che viene evirato
dalla propria madre che impazzisce per i continui tradimenti del marito portano infatti
l’autore coreano ad offrire una sua visione (estrema) del sesso, di come tutto
ruoti intorno ad esso e al bisogno di esso, come istinto primordiale che va
soddisfatto a tutti i costi, e senza il quale non ci si sente uomini, non ci si
sente vivi, pur essendone (o divenendone) schiavi. La componente
autodistruttiva della cosa è palese: si arriva a ferirsi, punirsi, immolarsi,
pur di dare adito e sfogo a questo istinto primordiale. Dell’amore di un padre
che, sapendo di essere la causa della mutilazione del figlio, sacrifica a sua
volta la propria virilità e la propria felicità per sentirsi più vicino a lui e
per dargli una speranza di guarigione, speranza che è un altro sentimento che
si respira per tutta la pellicola nel giovane protagonista, parallelamente alla
sua continua ricerca di normalità nella diversità.
Ogni nostro gesto porta a
conseguenze, a volte tragiche: altro grande argomento presente per tutta la
pellicola.
Incredibilmente erotica risulta
la scena in cui il ragazzo e l’ex amante del padre hanno un rapporto intimo
attraverso il dolore di lui. Dolore che porta piacere e piacere che porta
dolore, sangue e grida di piacere e l’erotismo che si respira in questa scena è
tutto merito delle riprese del regista e di come ha saputo guidare abilmente
gli attori nella recitazione.
Impossibile annoiarsi,
impossibile distrarsi, come impossibile è non provare un po’ di commozione per
quel tenero bacio che si scambiano il ragazzo e la ragazza, dopo che non riescono
ad avere il tanto agognato rapporto sessuale che a quel punto sa molto d’amore.
Finale alla Kim Ki-duk che mi ha
ricordato, in un passaggio, quello del “La Samaritana”, nel quale il senso di
colpa diventa onirico, con la differenza che in questa pellicola si svela poi
reale. Difficili da interpretare fino in fondo tutte le ultime strane
evoluzioni della storia, ma ancor più difficile era crearlo e gestirlo questo
finale. Tanti pezzi del puzzle sparsi
sul tavolo che l’artista coreano riordina alla perfezione, attraverso
sorprendenti passaggi e quel sorriso finale che lascia perplessi e di pietra
nello stesso tempo.
Un film che si vive in apnea dal
primo all’ultimo minuto, di quelli che, usciti dalla sala, ancora girano in
testa da tanto hanno rapito ed emozionato e tutto ciò accade grazie, come
detto, alla potenza delle immagini, ma anche grazie agli effetti sonori, le
musiche sempre discrete e poco più che mugugnii che portano nella mente dei
protagonisti e senza alcun dialogo a spiegarci quel che accade o le motivazioni
di quello che succede.
Un film senza parole che mi ha
lasciato senza fiato.
(Ste Bubu)
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaOh, ce l'ho fatta (morte alla distribuzione italiana). Ed è stato ancora Kim Ki-Duk. Bella recensione, con cui mi ritrovo su molti punti. Anche nei miei brevi appunti compaiono le parole piacere e dolore, non ci voleva un genio, ma le impressioni appese a quei due termini, ingredienti naturali dell'orgasmo da sempre e da tutti (istintivamente) cercato, sono complesse e la tue righe colpiscono bene molti segni.
RispondiEliminaLa regia, ancor più che nelle altre opere dell'autore, lascia il palco al battito del racconto, più che alla costruzioni delle immagini (anche se la scala finale resterà a lungo).
E' uno dei film più perversi e affettuosi del regista sudcoreano: pregno di atrocità e pietà. Una storia che non può finire che con l'annientamento dei protagonisti, con tutti gli organi in silenzio.
Allucinasmico.