Lunedì sera, grazie all’ottimo “Motel Woodstock” di Ang Lee del 2009, la
sala Ninna è stata invasa dai colori e dalla musica del mitico festival di
Woodstock del 1969. Prima di descrivervi le grandi emozioni che mi ha trasmesso
questa pellicola, ringrazio Depa, che ormai conosce i miei gusti e non solo in
fatto di cinema, per il suggerimento: bella socio! E si parte…
Gran bel film su quello che fu
l’evento per eccellenza del movimento Freak, soprattutto grazie all’idea geniale
degli autori di mostrarlo attraverso gli occhi di un ragazzo che in quel
piccolo comune della contea di Ustler di poco più di 6000 anime c’era nato e
cresciuto. Anche Ang Lee ci mette del suo e l’energia che invase Elliot Tiber
(personaggio realmente esistito, ottimamente interpretato da Demetri Martin),
la sua famiglia e tutto il paese con l’arrivo di quella massa di scombinati, arriva potentissima!
L’eccitazione è salita in me man
mano che il film proseguiva, esattamente come nei protagonisti man mano che il
festiva prendeva forma, e raggiunge (ovviamente) l’apice nel momento in cui
Woodstock Town cominciò ad essere letteralmente invasa da una marea di anime
libere, ribelli e piene di voglia d’amore.
Un film iper-stimolante, nella
prima parte grazie soprattutto alla scelta del regista taiwanese di
sovrapporre spesso le immagini e i dialoghi, catapultando così ottimamente lo
spettatore nel caotico momento delle preparazioni del quale Elliot ne fu
fautore e responsabile più o meno inconsapevole. Il giovane era semplicemente il
classico bravo ragazzo che tanto voleva dare alla sua famiglia, ma che per
questo tanto doveva a se stesso, finché l’evento cambiò lui, le sue certezze,
le sue convinzioni e le sue priorità.
Ang Lee non ci fa mancare nulla
mostrandoci anche le classiche immagini di repertorio che sono nella memoria di
tutti, attraverso gli occhi pieni di stupore e gioia di Elliot: lo sbirro che
“era venuto lì con tanta voglia di prendere a manganellate qualche freackettone
dimmerda, ma poi… -ehi! Pace fratello!... Do
you know what I mean?” e, dopo aver indossato il casco con tanto di fiorellino
sulla visiera, carica sulla moto Elliot per farlo arrivare prima al concerto,
mentre accanto a loro passano le tre "famose" suore che fanno verso la telecamera il
segno della pace; il fango su quelle colline dove lui e il suo vecchio amico
Billy (ottima anche l’interpretazione di Emile Hirsch) erano nati e cresciuti
che, tra un tuffo e uno scivolo, in quei giorni erano diventati il centro dell’universo.
Molto ben studiata, realizzata e quindi coinvolgente anche la scena immancabile
del “viaggio in acido”.
Ho sempre pensato che se un
giorno inventassero la macchina del tempo, il mio primo viaggio sarebbe proprio
a Woodstock in quell’ormai lontano 15 agosto del 1969. Fantascienza, lo so, ma per
lo meno, grazie a questo film sono riuscito a immaginarmi, come mai prima, cosa
deve essere stato.
Il festival di Woodstock, durante
il quale trentadue musicisti e gruppi, fra i più noti di allora, si alternarono
sul palco, venne ideato in realtà come un festival di provincia, ma accolse
inaspettatamente più di 400.000 giovani (secondo fonti non certe, addirittura
un milione di persone!) perché l’energia di quegli anni era impossibile da
controllare, era troppo forte per poter essere rinchiusa in schemi e
convenzioni sociali.
Pace, amore e libertà! “Solo” questo chiedevano i giovani
di allora e questo erano andati ad esprimere, manifestare e divulgare in quel
piccolo comune dello stato di New York. Un’energia troppo forte anche per poter
durare, un po’ come la scarica di un fulmine, potente e abbagliante, o calda e
accogliente come un raggio di sole nella tempesta di quei disvalori che stavano
prendendo il largo. Non poteva durare, ma le generazioni future avrebbero
potuto e dovuto trarre degli insegnamento da quell’ondata di calore che per
qualche anno invase tutto il pianeta ed invece... Beh… Per lo meno c’è chi ancora
ci crede…
(Ste Bubu)
Ahhh che bel viaggio. Che bella recensione. Che sballo. Ang Lee deve aver provato.
RispondiEliminaPeace & Love per chi vive e NON lascia vivere chi rompe i coglioni. Per chi ama e combatte sistema e convenzioni.
Con ogni gesto, ogni giorno.
Se il regista di Taiwan non fa saltelli tra calci volanti e tigri naufragate, ma tutto in sé, con qualche goccia in aiuto, il risultato è un altro: luci s'alzano nel cielo, con diamanti di tanti colori.