Sabato pomeriggio, poiché il promettente iraniano "Fish & Cat" viene proiettato senza sottotitoli (l'organizzazione, AGIS Lombardia, senza battito di ciglio, niente comunicazione, sorpresa in sala: "qualcuno sa l'iraniano?"), a Marigrade e me, non resta che virare verso un noioso quanto irritante documentario. Noioso perché ripetitivo e prolisso (basterebbero 20 minuti per inquadrare il rivoltante protagonista, per chi non lo conoscesse). Irritante perché a sentir parlare e veder sorridere Donald Rumsfeld viene da uscire e alzare le barricate. Risultato positivo quest'ultimo, sia chiaro. "The unknown known" è l'ultimo lavoro del documentarista U.S.A. Errol Morris, classe 1948.
Inizia il documentario e resto un po' incerto: "Ma...dovrei stimare questo verme?", poi la voce del regista/intervistatore fa capolino e le sue domande cariche di accenti sarcastici e intenti accusatori chiariscono il taglio dell'opera. Così va meglio. Non bene, meglio. Va male, in ogni caso, perché il suddetto losco figuro rischia di fare una bella figura. Il che è allucinante. Certo, lo spettatore deve metterci del suo, come sempre. Ma di questi tempi, sappiamo quale sia l'affidabilità del destinatario. "Toni brillanti", "determinazione del personaggio", "bella presenza", "astuzia politica", "indiscutibile carisma". Per nulla. Ma proprio per un cazzo. Questo è un farabutto assassino che si permette di scherzare sulla vita degli altri, una marionetta espressione di un sistema economico imperialista che ammazza in questo esatto secondo. Non c'è nulla di lodevole nel fare un "sorriso accattivante" da cretino di fronte a domande che t'impalano, lì, appeso alla tua menzogna. Qual è la sua virtù? Nessuna, se non, di riflesso questa: evidenziare l'assenza di virtù in tutti gli altri. Intendo tutti noi. Alcuni col durban's sulla faccia, altri colla grinta, va bene. Ma l'accettazione del fatto che personaggi viscidi come questi decidano (magari per!), di noi, è la vera amarezza. Ciò che dovrebbe condannarci ad una rabbia costante.
Perché non fa ridere. Niente di positivo nel vedere un celebre super pagato infame che dichiara tutto e il contrario di tutto (mi ricorda qualcun altro, ah no: "i parenti dicono che è onesto". Come quelli di Totò Rina), o che a Guantanamo al massimo si giunge a "docce obbligatorie" o "stare in piedi per 4 ore". Sì siamo a questi livelli. E altro, molto altro. Le sue risposte a quei giornalisti che, merito a loro, provano a intaccare il suo sporco meccanismo di frasi prive di senso (il titolo deriva proprio da uno dei suoi giochi di parole preferiti, se non fosse che al termine della pellicola, impietosamente, il protagonista si ritrova perso nei meandri del suo sillogismo da strapazzo, balbettando verso uno strabismo da eccessiva concentrazione ereditato, somma gloria, da uno dei suoi più illustri datori di pagnotta (un Bush qualunque), provano conati difficili da trattenere.
Tante domande a cui, con la peggiore faccia da schiaffi, risponderà con parole vuote, sì, ma che sporcano vite, cadaveri, sofferenze. Con violenze. Con Ingiustizie. Ma forse la domanda più significativa è quella accennata dalla locandina del film: "Che cazzo ha da ridere questo imbecille?".
Questo documentario serve a questo: a far luce definitiva sulla mediocrità delle figure che occupano quelle poltrone. Dei leccaculo da olimpiadi (scalatore senza pudore, Mr. Donald), "signor sì" senza vergogna, al soldo di loro simili (e anche al nostro, purtroppo). Rumsfeld un ennesimo boia NATO.
Serriamo i ranghi, parliamone in un certo modo, cerchiamo di far chiarezza, ecco il nostro compito. Errol Morris, ci ha dato uno spunto. Ora sta a noi.
“Disgusto totale per questa società”.
(depa)
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