Tra le nuove uscite in sala di ieri, una francese col volto
di Vincent Lindon. Pellicola sociale, quindi, che con Elena presenziamo con attenzione. Fanno il loro rigoroso ingresso nel 'Rofum le sorelle Delphine e Muriel Coulin (Lorient, 1972 e 1965). Xenofobie e razzismi di stato si insinuano nelle crepe di tutte le relazioni, anche familiari. "Noi e loro" (t.o. "Jouer avec le feu"), scrittura e regia encomiabili.
Ma io pensavo
Esaltato per Hong Sang-soo, con l’ebbrezza di correre in
qualsiasi sala per un sudcoreano recentemente conosciuto. Scelgo la nostra, dove “On
the Occasion of Remembering the Turning Gate”, “Porta girevole” per gli
amici (tra cui “Foglio”), porta a riflessioni su destino e intenzioni. Sesso. Desideri
e casualità.
Mio come me
Dalla coppia di registi iraniani Maryam Moghaddam, classe 1969 (“o 1970”) e Behtash Sanaeeha, una piccola grande pellicola, capace di colpire con carezze, di invitare alla vita con la morte. “Il mio giardino persiano” (2024, t.o. “My favorite cake”, per una volta l'italiana ha qualcosa in più: il privato): l’amore ai tempi e nei luoghi del totalitarismo. Dietro al fugace già sconsolato sorriso dell’individuo, un tremendo boato perfora i timpani dei responsabili istituzionali.
Riproduzione (in sala)
E' stato un onore inaugurare, dopo 5 colpevoli mesi, la Sala Navetta con nientepopò che Marco Ferreri. Non vedevamo il caustico e criptico regista da quell’assurda udienza del “2019”. Era ora di rituffarsi, a piccoli bocconi, nel cinema del milanese: quattro pasticcini da lanciare in faccia al “buon costume”, così vuoto, così sterile. "Marcia nuziale", del 1966, è il sesto film di Ferreri (terzo italiano).
Solitar vacanza
All’interno della categoria horror, il sottogenere shark è uno di quelli cui Elena oppone meno ritrosia. Per una sorta di sanomasochismo, chi non si allontana da riva più di 2,75 mt, trova nelle pellicole distese di mari cristallini frantumati da pinne e denti aguzzi, un piacevole lido. Anche sulle rive più remote, si trova di tutto. “Paradise beach” (t.o. “The shallows”, s.i. “Dentro l’incubo”, 2016), diretto da Jaume Collet-Serra, catalano classe 1974, non è il relitto che ti aspetti.
Scorbuto privato
La seconda firma dei western domenicali trascorsi è un certo Robert Wise. Due anni prima di Daves, anche il regista ben più celebre originario dell’Indiana decise di percorrere le polverose lande dell’Ovest per mostrare le conseguenze di una vita condotta agli estremi solitari. Dove, nel 1956, “La legge del capestro” (t.o. “Tribute to a Bad Man”) prendeva le viscere quando si trattava di proprietà.
Il lavoro debilita l'uomo
Domenica di recuperi. Dalla programmazione televisiva, due western nel mirino da firme che teniamo d’occhio. Come Delmer Daves
che, nel 1956, si ri-cimentò nelle sue abituali acque. Commedia "[brillante]" di crescita e amicizia, maturità d’un “Cowboy”: novellino irruento o
scafato cinico che sia. Avvicendamenti scontati e abbracci
colorati.
Stritola e prevale
Dalla parte degli oppressi, normale correre se vedi un
iraniano nelle sale. Con Elena all’“Ariston” (e un'altra coppia, mentre madre e
figlia saputa la durata “domani va a scuola” sono fuggite) per “Il seme del
fico sacro”, prodotto, scritto e diretto da Mohammad Rasoulof (Shiraz, 1972). Persecuzione,
repressione, un altro resistente non molla la cinepresa per raccontare la vita
in uno stato teocratico. Dovremmo trarre tutti gli insegnamenti…
Espropri democratici
Ieri sera abbiamo acchiappato il documentario che puntavamo da un po’. Yuval Abraham, reporter israeliano classe 1995, e Basel Adra, “attivista” palestinese classe 1995, hanno raccontato su schermo gli attimi della lotta dei palestinesi della Cisgiordania a difesa della loro terra. Oppressione e repressione non fermano la resistenza di donne e uomini dimenticati dal mondo. “No other land” mette in luce, per chi è ancora nel buio, la vera natura dello Stato israeliano, come di ogni altro, e del suo esercito. L’antico e violento colonialismo, risfoderato dagli stati dove e quando richiesto.
M il passato!
Ieri sera energie conservate per Hong Sang-soo, adocchiato tra le nuove
uscite di giovedì. Alle 21,30, nella minuscola “FilmClub”, oltre a noi due, un
trio lescano niente male. Ciarlieri...ma anche noi abbiamo pop-corn pronti per
il “Rohmer” sudcoreano. Molto di più, “Una viaggiatrice a Seoul” (t.o. “A
traveller’s needs”), è uno splendido cinema relazionale, quindi sociale. Gran
premio della Giuria a Berlino scritto, diretto e montato dal sudcoreano. Leggerezza e/o profondità?
NormaliStato
Con Elena al Sivori per il Walter Salles delle stazioni
centrali e per il cinema brasiliano. Doverosa Agenda, del 2024, “Io
sono ancora qui” si iscrive nel classico filone della testimonianza, sul colpo
di stato e dittatura fascista propri. Biografico che nulla potrà dinanzi al
prossimo scempio del Nuovo Capitale.
Corsa delle rane
Dopo tanto cinema mainstream, ieri sera, siamo tornati a chiedere a “Foglio” qualcosa di più ricercato, magari orientale, meglio se “antologico”! E l’amico sfodera il manifesto della “New Wave” taiwanese: “In our time”, del 1982, è un quadro poetico e accorato, scritto e diretto in quattro, sulla crescita e le sue scoperte: dall’infanzia sognante a quella età, ormai buffa, chiamata adulta.
Firmato: Tao Te-chen, Edward Yang, Ko I-chen e Yi Chang.
Firmato: Tao Te-chen, Edward Yang, Ko I-chen e Yi Chang.
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