Chiudo l'escursione con Hiroshi Teshigahara, col suo tributo a un artista la cui visione è strettamente legata a quella, elegantemente e fatalmente volatile, del regista giapponese. "Antonio Gaudí", del 1984, scorre lungo le strabilianti linee dell'architetto catalano. Deviazione affascinante, viaggio ulteriore, nello spazio silenzioso della mente.
Da dove quelle luci? Quei colori? Dal profano, dal sacro, da danze e processioni. Dalle tradizioni attorno (mestieri). Fondere e ricreare, fabbro dell'arte, architetto di universi immaginati. Linee aliene, rette rettiliane, dove il regista trova le vie di fuga a lui consonanti (il film percorre anche un intrigante sentiero sonoro). Arte che non ha bisogno di parole (né sottotitoli). Da dove queste curve, queste forme? La "Sagrada Familia", maestosa ikebana, non portabile a compimento, perché già consumata. Come la pietra delle montagne, un tempo ritenute eterne.
Chi ne ha altri, di Hiroshi, me li passi.
(depa)
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