Sempre ad Hiroshima, faccio un salto indietro. Nel 1952, Kaneto Shindô ne compì uno elegante e coraggioso. potentemente umano, in mezzo a tanto orrore. "I bambini di Hiroshima" sono foglie senza albero, spazzate dal vento degli Imperi e i loro Eserciti [to be continued...]
Sullo schermo, tutti i resti della bomba atomica. Attorno allo scheletro edilizio in cui si identifica il nostro "Regista della Bomba Atomica" (centinaia-di-migliaia-di-morti), gli orfani superstiti affollano gli istituti. Sciuscianti in pantaloncini corrono tra le macerie. Sanpei! Morte. Tashiko! Ancora morte. "Guerra male più grande. Un inferno". Heita! Un dolore che s'insinua nelle crepe delle ossa. Esistenze mutilate, vite zoppe. Essere sopravvissuti, l'"unica consolazione". Agghiacciante, autentico post-atomico. Abbandoni e solitudini. Il dolce Taro e i suoi sogni di bambino ("Nonno, non morirai mai!"). Inconsapevolmente già corpi "per la ricerca". Il sodalizio artistico e sentimentale di Shindo con la protagonista, Nobuko Otowa (1924-1994), iniziava a sprigionare pellicole di rara intensità. Capolavoro attualissimo, con la "stupida maledizione" che sempre incombe.
(depa)
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