Yana Yana...

Il Trieste Film Festival non si dimentica. Mancava l'ultimo lungometraggio, della vincitrice: "L'inizio", del 2020, di Dea Kulumbegashvili. La regista georgiana classe 1986, con la compassata regia, al limitar dell'incazzatura, che già conquistò San Sebastian, punta sul gelo prima dello scoppio. Un ritmo ben noto all'ultimo TFF, qui al parossismo, senza che ve ne fosse bisogno.
Intolleranza religiosa, ve ne sono poche altre, nasce con la religione stessa. Il patriarcato ha mille facce (sovente quella di uno sbirro dai repressi pruriti). Starci è accettazione. Perché la fedele e devota adepta risponde? Per paura? Sacrificio, sta scritto.
Regista che, tra i commenti, vien tacciata di radicalismo religioso: qualcosa è andato storto, pur con tutti i pubblici alibi. Si prodiga in una provocazione che desti da un sopruso diffuso (e perpetrato). Niente di nuovo, l'insistenza ormai cronica delle pellicole dall'East. Qui ci uniremo al figlio nel cercare di smuovere la madre, entombada, inamovibile per cinque cattivi minuti, tra foglie verdimarroni così ricercate da echeggiare assenza di idee. Perciò è un film da Oscar pei fans d'uno stupro lungo un torrente immortalato. Difatti vince. Nel panorama di quest'edizione, il pensiero corre rapido ad un altro femminicidio shock, bosniaco.
Elegante fotografia con compiti esercizi di luce. Che noia, però. L'intimo ritmo del raccapriccio non scatta. Un battesimo insopportabile (riprendetevi!). "Ti voglio perdonare", dice la preda alla vittima (marito folle alla moglie fulminata).
Oh Yana! Anche in Georgia, si ghiaccia dentro. Polvere e cenere. Nulla più.
(depa)

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