L'avvelenata

Appena chiacchierato con Fellini, classe 1920, urge scrivere due righe sul film più celebre di un grande regista nato qualche mese prima. Appartenente alla generazione d'oro, quindi, il sudcoreano Ki-Young Kim (1919-1998), sprigionò la sua arte sopraffina e graffiante. "La domestica" (t.i. "The housemaid", t.o. "Hanyo"), del 1960, è un capolavoro di stile e analisi: patriarcato e sfruttamento conservano la loro radioattività nell'aria, irrespirabile, d'ogni società.
Restaurato nel 2008, quindi ripresentato genialmente dal Florence Korean KFF, sezione "New Korean Cinema", una spietata quanto spumeggiante pellicola ruotante attorno alla "Sacra Famiglia". "Hitch e Clouzot", è vero! "Siamo esauste, solo lavorare". L'unica soluzione è...il music club. Il mondo va a spirali, in giù, in su...boom. "Torna, abbiamo bisogno di soldi", affetti pratici. Gelosie. Fulmini e terribile tempesta. Il pianoforte! Impietoso carboncino d'autore. Chabrol, anche. Che soggetto. Sottotitolo: Tenere fuori dalla portata dei bambini. Losey, l'avrà visto. Peggio che squali, in quest'incubo perverso/realistico, liquido nero ai bordi. L'Avoir Fou, lungo una scala memorabile, degna di un classico.
Con buona pace dei novellini, con la splendida dolorosa Oasi del 2002, cui è legata da un filo rosso di quarant'anni di "Progresso"-regresso civile (una rassegna chissà...), per me il miglior film del festival.
Colpo di fulmine, nero, con "Il maestro della follia", che assilleremo a modo nostro, alla coreana.
(depa)

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