Pausa da Sir Alfred, per questo aprile squarantenato. Anche perché vorrei raccontarvi di altri due incontri illustri, fatti in sala Valéry. Colle pay-tv che impazzano, ammettiamolo, anche per ampiezza di scelta, qualcosa è comparso sui piccoli schermi di clausura. Pagando per forza, "RaiMovie" ha regalato un film di Howard Hawks del 1952. "Il grande cielo" racconta una classica storia di trapper nordamericani...non rapper pigri, ma cacciatori delle Montagne Rocciose, spavaldi esploratori, pronti a tutto per...un'avventura.
RKO presents...e in Technicolor, coi ringraziamenti al National Park, appare il Kentucky, coi suoi scanzonati quanto tenaci cacciatori di pellicce, coi pellirosse, la sua selvaggina. Tra loro Jim (il solito gran Kirk Douglas) e Bill (Dewey Martin), girovaghi da sentieri e bar. Da una scazzottata al piombo, un'amicizia che rimarrà.
L'intreccio trova forza dall'equilibrio tra stereotipi e guizzi narrativi, tra rispetto della formula classica e ricerca di quella magica. L'uscita (non fuga) dal carcere, per quanto semplice, è di per sé un frammento di anticinema, pronto a spezzare, beffardo, qualunque speranza di climax. Così come la sequenza del taglio del dito. Racconto londoniano. Tra Cheyenne su per Yellowstone. Par di vederlo Hawks che scalpita, teso a scuotere il tradizionale canovaccio. "Niente è facile quanto sembra" sembra dire e, difatti, non va per le sottili. Ovvio, quindi, che trattando un interprete eccentrico come Douglas, il risultato raggiunge un fascino particolare. Inquadrature ardite per un coinvolgimento massimo (la soggettiva verso la foresta che minaccia frecce) e, come in ogni buona avventura, personaggi che si rubano una parte del nostro affetto: "Pelleossa", pazzo prezioso, lo zio ("è un affaruccio, parlo troppo"), "Il Francese" e la sua ciurma, "Occhio d'anitra", una tantum interpretata dalla modella cherokee Elizabeth Threatt. Stupenda lei e memorabile la coppia Jim e Bill: un piacere seguirvi, uomini d'un Ovest Lontano scomparso.
(depa)
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