Accolto con entusiasmo ai festival di Paulinia e Rotterdam (tra gli altri), uno dei film presentati all'interno della rassegna "Agenda Brasil", organizzata presso l'"Oberdan" dall'associazione "Vagaluna", è stato "A história da eternidade", esordio del quarantenne recifense Camilo Cavalcante. Ambizioso e poetico affresco sulle intime tensioni di tutti i dimenticati della terra.
A detta dello stesso regista, ospite in sala Merini, si tratta di una "favola tragica sull'amore, sul desiderio, sul sogno...in cui fondamentale è il ruolo delle componenti tempo e spazio", qui rievocate tramite "un paesaggio isolato ed arido, metafora dell'intimo umano". Prima della visione, il regista recita alcuni versi tratti da "A Educação pela Pedra" (insegnamento dalle pietre), raccolta di poesie del suo concittadino João Cabral de Melo Neto. Ed il suo cinema, che si dipanerà sullo schermo, sarà proprio in versi, richiamante immagini di grande poeticità, mediante un'alleanza fascinosa tra regia e fotografia. Protagonista un microcosmo solitario in cui sfilano molti degli elementari sentimenti che muovono il mondo: rabbia, speranza, dolore, illusione. Tutti potenti, in quanto non inquinati da marche e cliché. Tre fiori di età differenti che contengono, spartite nelle generazioni, le "meccaniche celesti" cantate da Battiato, le "stagioni dell'amore", comprensive di siccità e temporali, percorrono e percuotono individui in balia delle infinite combinazioni possibili; in grado, però, di vedere il mare dove non c'è (merito dell'arte). Tensione emotiva alle stelle per entrambe le ore. Il finale, forse troppo esplicito, è concesso a chi, per il resto del film, ha guardato lontano da sé. Brani danzati col corpo e gridati dallo spirito (ben impressa nella mente l'invocazione a "Fala!"), innalzanti il villaggio più povero al più ricco dei regni, celebranti l'universale metropoli dei nostri gloriosi e meschini moti.
Coraggioso, da vedere.
(depa)
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