Questa settimana ho proseguito nella seconda e ultima tappa del viaggio a cui mi ha invitato il regista yankee Steven Soderbergh. Percorso emozionante che consiglio caldamente a tutti i cinefili revolucionarios. Gli ultimi 3 anni di guerriglia di Ernesto Guevara, detto "el Che", seguito lungo il suo personalissimo percorso per tutti. Al regista il merito di una pellicola asciutta, fredda perché la fine era già scritta, solenne perché fu a testa alta e ideale saldo. "Il Che - Guerriglia", del 2008.
Nel marzo 1965 ci fu una stella, coperta d'oro, che decise di farsi ombra per far da faro agli smarriti. Niente pecore. Ma uomini lasciati a sé. La pellicola ci mostra il Che nei momenti in cui, lui in primis, percepisce una funesta luce sulla sua nuova battaglia. Ma sacrificio ed abnegazione sono medicinali portentosi, il risultato finale scompare, quasi, dai calcoli. La rivoluzione può logorare il corpo, non uno spirito granitico. E' retorica quando esce dalla bocca e cade per terra, a pochi centimetri.
Attorno ad un carico così pesante di ideologia, di storia, insomma d'umanità, Soderbergh mette in scena un film valido sul piano militare ed estetico (belle le immagini dello scontro in cui viene sbaragliata l'avanguardia del Che), ritmo braccato e colori sbiaditi, rispetto al primo capitolo. Dopo la gloria del plotone, ecco la miseria della disfatta, per nulla scalfita grazie alle bandiere, ancora e sempre in piedi, di giustizia e libertà. Ancora una volta, commovente l'intepretazione di Benicio Del Toro. Immaginare di essere lì, quando "regna l'ombra su Vallegrande" è un misto di angoscia e rispetto. Sequenza indimenticabile, atroce e impietosa, quella della cattura del padre di tutti i popoli. Intensità in ciascun fotogramma, il cuore batte all'impazzata, il respiro è già interrotto. Parrebbe la fine più triste, se non fosse che è proprio in tal maniera che si riceve lo slancio per finire tra le stelle. Sì sa, i loro frammenti ritornano. Hasta la victoria. Siempre!
(depa)
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