L'ultimo film visto lungo la passeggiata di quest'anno tra Venezia e Locarno, è stato un film statunitense ambiguo, incentrato sulle nuove modalità belliche di questo secolo, con le quali si può ammazzare impugnando un joystick, a migliaia di chilometri dalle vittime. Gli americani sono campioni in questo sport (ad uccidere in generale, O.K.!) e ci riescono raccontandosela, cioè attribuendosi delle regole morali (tipo mafia, altro luogo comune agghiacciante uscito alla ribalta di recente), prive di fondamento. "Good kill", del neozelandese Andrew Niccol, classe 1964.
La storia è semplice: i turbamenti di un Guile di "Street Fighter", interpretato da Ethan Hawke (credibile, il suo lo fa), il quale è depresso perché non può stritolarli con le proprie mani, quelli là, e allo stesso tempo perché è proprio da criminali uccidere quegli innocenti (e una volta su comando dei soliti odiosi CIA, per di più!). Insomma, il solito grande cinema catartico-militare statunitense, desideroso di mostrare un'altra faccia di una medaglia che, però, non ha lati, tributo al valore in forma sferica, chiara da tutti i punti di vista. Guerra per il potere. Ma, se le considerazioni finissero qui, non avrei scritto "ambiguo"; perché, tutto sommato, a differenza di quel "Top gun" recensito poco fa, l'offerta allo spettatore per uno spunto di riflessione c'è, benché fiacchetta. Parliamoci chiaro, è un po' difficile trattare dei componenti di una base militare e aspettarsi disamine etico-filosofiche su temi come la guerra, l'integrazione etc. Forse un tentativo sarebbe una forzatura tale da proiettare il film direttamente nel genere fantasy, o grottesco. Mi viene in mente quel brutto film che fu "Redacted", le chiacchiere in caserma sono quelle, la sterilità di certi slogan militari non può dar luogo ad alcunché. Quindi: perché aspettarsi altro da un film che vuole farci dono (ben gentile, grazie!) di una finestra sul magico mondo della guerra al terrorismo, per la libertà?
A differenza di Marigrade, uscita dal "Colosseo" straziata, provo ad allontanarmi un poco dallo schermo e individuare qualche tratto apprezzabile; mi rendo conto che sto annaspando, difatti non lo consiglierei a nessuno. Ma se il messaggio della pellicola, in fondo, fosse "Cari marines, statevene a casa con quella gnocca di vostra moglie!" ? Perché no? La modella che viene dal Dakota del Sud, January Jones, classe 1978, dovrebbe sedare ogni inquietudine (anche se la collega alla base non è da buttare, la figlia di Lenny Kravitz, classe 1988). A parte le curve delle due suddette, è un film piatto, con una fotografia che convince solo nella patinata e stralunata casa ai confini di Las Vegas.
Voto: 4,5.
(depa)
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