Mentre F. Lang, nel 1922, farciva il suo Doc. Mabuse con tutte le meschine avidità e le diaboliche astuzie del genere umano, contemporaneamente, in Svezia (ma da mani danesi), veniva impastato uno stravagante racconto cinematografico sull'assurda idiozia dello stesso. "La stregoneria attraverso i secoli" ("Häxan" in originale) è un film del regista danese Benjamin Christensen che ebbe un certo successo ai tempi e che continuò ad avere proseliti tra gli appassionati del genere horror, a causa della forza espressiva e della pungente satira racchiusa nelle immagini.
Sotto forma di parodia documentaristico-storica sulle origini della stregoneria, intesa come devozione a Satana, inconscia o consapevole, Christensen (toh, il caso!) realizza un attacco di un'ora e mezza diretto verso tutta l'ignoranza e la miopia che hanno afflitto gli uomini nell'arco di tutti i secoli. Si parte dalle buffe rappresentazioni del Maligno e del suo regno, dalle folli interpretazioni dei segni, sino alle subdole recenti giustificazioni, per arrivare alle più moderne e ancora più ingiustificabili cacce alle streghe. Insomma, più che della stregoneria, che può essere narrata con più di un sorriso accondiscendente, la pellicola, nemmeno tanto velatamente, si scaglia contro ogni infame pregiudizio verso il minimamente diverso da noi, questo sì esecrabile con la ferocia più seria (in primis quell'indelebile meravigliosa pagina cristiana che ha per titolo "L'Inquisizione" e sottotitolo "e poi mi parli di una vita insieme"...); arrivando anche a criticare quella nuova oscura scienza che, alla fine del XIX° secolo, scosse irrimediabilmente l'umanità: psicanalisi.
E il regista lo fa con coraggio, affidandosi alle frequenti ed esplicite didascalie e ad una sperimentazione d'immagine che lasci il segno nello spettatore. Quindi, saranno visibili inquietanti scene di arti umani gettati qui e là, creature demoniache e orribili torture atte a mostrare la bruttura di pericoloso gioco-pregiudizio che sfocia nella mortale persecuzione; ci saranno corpi nudi e sguardi e rincorse a ricordare quale impulso abbia avuto il sesso in tutte le sfere, soprattutto quelle religiose (il monaco anziano vuole la precedenza su quelli giovani...); ma anche alcune sequenze che cercano un coinvogimento nuovo: didascalie che riferiscono il pubblico in sala ("di sicuro in sala ci sarà qualcuno più folle"...), dichiarazioni "fuori onda" degli interpreti (la vecchia messa sotto torchio perché confessi; questa, tra l'altro, è l'inquadratura più potente del film, con quelle rughe, quelle espressioni, quegli occhi che salgono in direzione del dolore; bianco e nero e luce e ombra indimenticabili); e tante altre sperimentazioni: scenografiche, di montaggio, di filtraggio, etc.
Sullo sfondo di tutto ciò, espressionismo, simbolismo e realismo remixati alla grande, D.J. lo stesso regista, sotto le vesti dell'inquietante e irrequieto Satana, che spunterà nei momenti meno (o più...) opportuni, ad attrarre a sé ingenue vittime, sostenere fedeli adepti, muovere le fila insomma di queste nostre luride menti. Smorfia-sorriso sempre stampata sul volto infernale.
Bisognerebbe conoscere molto bene il background del muto dei primi anni '20, per esprimere un giudizio pienamente consapevole. Quanto di nuovo, quanto in saldo? Di primo impatto, però, questa pellicola pare giustificare il ruolo che le viene assegnato: coraggiosa, dissacrante, intelligente, divertente, acuta, innovativa...La consiglio.
(depa)
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