Dopo aver apprezzato molto un suo film, visto a Febbraio, sempre all'Oberdan, appena ho visto che era in programma un film di Marcel Carné, mi sono precipitato senza remore. Dalla preziosa collaborazione tra il regista parigino (1906-96) e il poeta concittadino Jacques Prevért (1900-77) nacquero alcuni gioielli cinematografici tra cui questo "Les enfants du paradis" (in italiano "Amanti perduti"), proiettatto nel 1945, dopo una realizzazione resa tribolata dal conflitto mondiale.
In una sala Alda Merini sorprendentemente affollata, anche Elena è pronta per queste 3 ore di realismo poetico ai massimi vertici (per ogni evenienza s'è portata un cuscino). Quindi, via, occhi puntati sull'allestimento vivace e brulicante, sgargiante e realistico, messo in scena dal regista. Sulla m.d.p. sempre in grado di diventare sguardo presente, partecipe, cogliendo il fascino di una strada colma di passanti, boulevard du Temple, anche nota come du crime...e ho detto tutto, manifesto del cinema e della poesia degli autori: fuori la festa collettiva, dentro il dolore dell'individuo, gioia e turbamenti nel teatro della vita, vorticoso tourbillon d'emozioni. Come in "Albergo Nord" (1938) le scene sono ambientate in luoghi caratteristici, con campi stretti, nessuna panoramica, l'obiettivo puntato sui corpi e sui volti dei protagonisti, incorniciati da interni che diventano un mondo intero; questo stile fa sì che, ancora di più, emergano le straordinarie capacità degli interpreti, quasi tutti parigini. Chi entra in scena porta con sé un personaggio carico di fascino e completo del proprio bagaglio esistenziale. Prima l'aspirante attore "Frédérick Lemaître" (Pierre Brasseur, 1905-72, grande interpretazione) riempe la scena con tutta la sua esuberanza e il suo charme, più che convinto di sfondare, palchi e cuori; poi è il turno di "Garance", dal sorriso più dolce, sempre teso a dimenticare le difficoltà incontrate (la celebre Arletty, 1898-1992, pare un po' statica, ma il velo di disillusione che ha davanti agli occhi si muove eccome); infine, al pubblico verrà presentato l'animo più profondo, dallo sguardo più triste, il mimo "Baptiste Debureau" (Jean-Louis Barrault, 1910-94). Se i tre personaggi principali emergono per il maggior spazio occupato in scena, tutti quanti gli attori sono strepitosi (voglio citare, qui, la bella e brava Maria Casarès, nelle vesti della fedelissima innamorata "Nathalie").
Come detto, attorno ai bravissimi protagonisti e ai dialoghi ricercati creati dal celebre poeta (in odor di Lubitsch, Wilder...), danza sapientemente la m.d.p., guidata da una mano meno barocca di quella inconfondibile di Ophuls, ma altrettanto elegante ed appassionante.
Cinema francese d'haute qualité. Provate.
(depa)
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