Ieri sera, nella sala Uander silenziosa, dopo la seconda scoppiettante edizione di "Disco Samp in Savi" (2013, grazie a tutti ragazzi), ho deciso di invitare al Cinerofum un regista che inseguo da anni, con risultati falllimentari. Quindi è con gran piacere che prego il regista giapponese Yasujiro Ozu di accomodarsi tra noi appassionati. "Tardo autunno" è un film del 1960, fase finale della produzione del gran regista: non il modo più corretto per affrontare l'opera di un regista, ma questo mi è capitato tra le mani, passando per la cassetta della posta di Marigrade (grazie a Sergio, il vicino di "vecchia data"); ciò nonostante, soddisfazione massima, per questo cinema poetico e leggero, sensibile e maturo.
Lo stile del regista è dichiarato da subito e rispettato lungo tutte le due ore di pellicola. Telecamera inchiodata al pavimento, inquadrature fisse in cui i personaggi si spostano con delicatezza, dialoghi costanti (non certo overlapping, ma le chiacchierate di fronte ad un buon sake occupano gran parte della pellicola) ripresi con singolare modalità in soggettiva (non col solito controcampo semisogg. o altro) e...recitazione pacata, oserei dire. Impostazione minimalista che vuole evidenziare le sensazioni elementari, soffermarsi sui meccanismi popolari. Al di là che i colori, i ritmi e le tradizioni in generale siano molto differenti dalle nostre, là dove sorge il Sole, non credo si possa parlare di realismo; è un quadro stilizzato su una vicenda reale, poggiato su alcuni principi che il regista, e quasi tutti i protagonisti. sembrano aver fatto propri: "calma, ne abbiamo solo una".
Colori tenui, futon, abiti e trattorie tradizionali giapponesi finiscono col creare una favola d'oggigiorno, con finale quasi felice, le luci si spengono e la solitudine, com'è naturale, s'accende. Bel cinema.
(depa)
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