Estasiati dal primo incontro col regista svedese, dopo poco siamo di nuovo lì. In sala "Valéry". "You, the living", del 2007, perde in evocativa incisività (un extremis da poster non basta), accontentandosi della ineccepibile forma audiovisiva. Stavolta, l'apocalisse sono santi che camminano.
Gli anni dei colori pastelli dei grandi capi scandinavi ("Stanno bene da quelle parti", rileva Elena alla prima inquadratura). [Sì, ma Bobbo? Eh!] Disperate desolazioni (Bobbo bugiardo!), non piacersi ("paranoie"?). W l'arrosto di vitello! Abbandonati i toni museali, cantarci su! Andersson si lascia andare, quasi al limitar del finnico. Qualcuno dice che un altro giorno c'è. Ed è "domani". Cellule malata, qualche normale al bar. [Cos'è "sappa"?] Siamo tanti Benny Hill, non ci chiama nessuno. Alle fermate si corrre, nel traffico si cammina. Si sogna. Matrimonio, lavoro, in coda. La Giustizia sbevazza e brinda, cerimoniali, intruppati nelle fanfare. Evanescenti preghiere. Gli dei applaudono. "Imbarazzante, proprio così". "La vita non è divertente", altro che caproni. Volere la felicità degli altri, altro sogno (prima della campanella dell'ultima ordinazione, o del prossimo bombardamento).
Più compiacente delle precendenti "Canzoni" (la "Louisiana Brass Band"), macchia la bocca d'amaro. Resta una splendida carrellata di quadri e sketch raffinati quanto ricercati (suono), J'accuse ai dormienti, sognatori ad occhi chiusi, spalancati nell'incubo quotidiano.
(depa)
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