"Ungouvernable", come dev'essere, Kaneto Shindô. Regista spiazzante nella filmografia, come in una pellicola. "Madre", del 1963, epopea di donna prima che di genitrice, assieme alla disinvolta eleganza, testimonia dell'audacia degli autori. Dolori allucinanti.
"Dal XIX Festival d'Arte" (quale?). Madre, a guardia, guarda. "Tumore al cervello", Toshio!, e tante piccole luci. Questa è memoria di agrodolci ricordi. Capezzoli offerentisi di vita. Ma onibaba è la società, assassina può essere la famiglia, demone il marito. Trafficoni immortalati in bianchineri immobili. Impazzire "piuttosto di stare con un uomo". Lavoro e "piacere" sono la stessa cosa. Lutti, odi, acredini, malori (matrimoni), nelle dissonanze quotidiane. "Tutti hanno il diritto di vivere come vogliono", impossibile in regime patriarcale. Addosso a sposi, coppiette e festanti! Nella devastazione di Hiroshima, le macerie della donna, vera emicrania sociale. Nessuna soluzione (gioia), se tutto ha un prezzo. La città sono nude, gli individui "bolle nell'abisso". Ultima notte, ultimissima luce, straziante come un crisantemo, commovente come una lezione di guida. Poi la speranza che non muore, una nuova foglia cantata al vento.
Gran bel cinema.
(depa)
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