Quinto ed ultimo "filmone", più "on fly" che "on air", "offertomi" da Air France è stato il chiacchierato "Deadpool", salito alla ribalta per il suo omonimo protagonista, supereroe Marvel sboccato e irriverente, in grado di portare una supposta (calzante) sventagliata di humor senza etichette né veli. Nella realtà, un plot piuttosto consueto, costellato da dialoghi dalle virgolette imperanti, allusive o graffianti, uniti ad effetti speciali all'altezza, ma già visti. Sufficiente perché il film trovi il successo annunciato? Il botteghino dice sì, come dubitarne, mentre per il barboso cinefilo...il dubbio rimane, poiché la voglia di "spaccare" degli autori gli pare rimasta interrupta.
Ho fatto molta fatica a sopportare per tutta la durata del film la faccia da sberle tipicamente statunitense del protagonista, tale Ryan Reynolds, canadese (vedete, i luoghi comuni?) classe 1976, uno del quale è bene scorrere la filmografia. Ovviamente non ne ho fatta alcuna dinanzi alla sua compagna filmica, la brasiliana Morena Baccarin (Rio, 1979). (e avanti di sessismo). E non intendo per le doti attoriali (Zio fa, parlo già come il protagonista nelle sue ripetute rotture della quarta parete), invero accettabili per entrambi. Ma perché il personaggio messo sullo schermo è irritante come pochi altri. Il più figo del pianeta col suo carico di ironia immaginaria. Tutto l'ego del protagonista teso a creare una qualche complicità con lo spettatore che, nel caso in cui passasse le serate a vedere serie TV davvero cool, o i pomeriggi ad impugnare thermos in un bar con wifii gratuito, apprezzerebbe di certo. Dopotutto, un supereroe che prende per il culo gli altri supereroi. Lo siamo e facciamo tutti.
(depa)
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