Poesia morta, in scatola

Febbraio niente male, questo, cinematograficamente scrivendo (per tutto il resto, in effetti...). Ormai fiducioso nelle proposte che giungono da Elena, quando questa s'affaccia al "Grim" dicendo che "c'è un tedesco..." mi pianto il berretto in testa e la affianco verso il "City", dove in programmazione c'è "Un valzer tra gli scaffali". Diretta dal regista Thomas Stuber, trentottenne di Lipsia, questa dolce storia d'amore e alienazione nella grande distribuzione tocca sguardo e cuore dello spettatore.

Non fatevi fuorviare dalla solita stupida ed arbitraria aggiunta al titolo originale (per non parlare del cacofonicissimo articolo indeterminato). Valzer vi sarà, ma senza saloni, lampadari, pavimenti lucidi e strascichi roteanti; bensì tra prodotti in scatola, casse di bibite, muletti, carrelli, celle frigo ed aree break. Non certo il primo film ambientato nella disumanizzante dimensione dei supermercati, ma in questo caso, oltre alla latente frustrazione e al progressivo annichilimento, una storia di composta e rabbiosa ricerca. Un tentativo, disperato, pare quello del protagonista. Provare con questo folle impiego ("lo chiamano lavoro, invece è sfruttamento") a salvarsi, a conquistare altri giorni che quelle notti, invece, sottraggono al totale. Poi un altro azzardo, stavolta difficile da scostare: l'apparizione di Marion. Tra le linee d'acciaio fisse di Corsie, Colonne e Piani, intreccianti con sinfonia danubiana insospettabilmente calzante quelle mobili gialle-nere di un Jungheinrich che passa delicato, compare sullo schermo la Beatrice degli scaffali di Christian. La danza dell'amore, immersa nel buio freddo di ogni magazzino o periferia, offre kontrapunkt di rara intensità. Stuber muove la camera da maestro, con movimenti precisi e inquadrature preziose, come lo scambio di sguardi che le due anime non si scambiano, attraverso un vetro, dopo l'irruzione segreta in casa di Marion.
Quindi, al regista ed agli interpreti (su tutti il protagonista Franz Rogowski, pazzesco, e Sandra Hüller non da meno), il merito di non aver trascurato ma, anzi, di aver posto nella giusta rilevanza ogni dettaglio, di cui la pellicola è ricca, per mantenere la sua forza poetica (ancora a casa di lei, sopra un tavolo, la coperta di pile azienda, unico affetto tangibile tra individui già macellati).
(depa)

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