Tornato coi piedi per terra, nelle sale cinematografiche, mi ritrovo a passeggiare tra pellicole profumate. Come quella di ieri, annusata con Elena all'"Ariston", fresca vincitrice dell'ultimo Leone d'Oro (2018). Scritto e diretto da Alfonso Cuarón, "Roma" è una meraviglia per gli occhi, che si trascinano a presso uno spirito calmo ed inquieto, gioioso e sofferente, assolutamente incapace di vivere tra essere umani. Il dolce ed omicida fallimento della specie umana, ha le tinte del petrolio che ci sta soffocando.
Titoli di testa su piastrelle insaponate, andamento ondamento, fuori campo d'una strisciante spinta. Tra tre mura di un'algida residenza borghese alcune creature si spostano e balzano. All'interno son racchiusi i movimenti apparenti di una famiglia, insieme d'individui più distanti che sconosciuti. Il teatrino alla lunga, senza più appigli, crollerà tra terremoti e grandini. L'animale uomo ci prova, si barcamena, si dimena, s'arrabatta, anche un supereroe da circo può consolare, come il politico d'altronde.
La natura sta, ora prendendo fuoco, ora prendendo corpi, una carrellata insegue una minuscola lucertola preistorica che ribadisce l'inesorabile sconfitta. Alcuni fanno un party, altri la guerra, altri ancora lottano; quel ragazzo muore colpito da sgherri, quella bambina è già morta perché impreparata per quest'ambiente. Non siamo fatti per tutto questo. Né Cleo, né Sofia, né Firmin, né Alberto.
Elena insofferente a fine visione, causa eccesso di estetismi. E' vero che non si poteva andare avanti così per una seconda ora, ma qualcosa è pur successo, dagli scotimenti del cuore a quelli di piazza, sino alle impetuose onde di Veracruz, dove la vis drammatica pare travolgere pure noi, insignificanti in sala.
Te quiero Cleo, ora però fammi un frappè.
Te quiero Cleo, ora però fammi un frappè.
(depa)
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