Al Teatro Altrove, la rassegna "Intolerance" prevede una serata dedicata al genere cinematografico sentimentale. Il primo appuntamento, l'unico cui Elena ed io abbiamo assistito, è con Ingmar Bergman che, nel 1951, realizzò una pellicola che racchiude già tutte le intime turbe che pervaderanno l'opera del regista svedese: "Un'estate d'amore" non è nient'altro che una stagione, un'illusione pronta a dissolversi con la prima nuvola.
Nostalgia piuttosto autobiografica, a quanto pare. Come potrebbe non esserlo? Il regista è disperato nel ricordo, trafitto dal rimpianto, da una passeggiata in un nido d'amore da qualche parte in un Garden. La tensione verso una felicità che ha sempre il cartellino del prezzo, viene aspramente dipinti nella sua curva più feroce. Ai sogni incoscienti seguirà il freddo, il cuore muscolo immobile. Saranno dolorosi "risvegli in preda alla malinconia", col "cuore rifugio di tenerezza", per quanto vale. Si rischia di rimanere alla fermata del tram per tutta la vita.
Bergman, in realtà, amava tutto ciò che il giorno ci riserva, quindi al dramma accosta sempre una lacrime di speranza. Il siparietto felliniano della "moribonda e dell'officiante" è sul piano visivo e su quello simbolico uno dei marchi di fabbrica dell'autore; partita a scacchi eternamente in corso (una figura luttuosa già s'aggirava attorno al luogo dei ricordi), gitana e devota, sacra e pagana. Oltre alle suggestive immagini dei balletti, con veri cigni aggrappati alla letizia del momento, sospesi nel nulla del palco, rimangono alcuni passaggi davvero efficaci per bellezza e significato (l'attraversamento del corridoio dopo il letto di morte, pedinata dal demone).
C'è anche il percorso nel campo del sonoro, coi primi esperimenti (non ancora quelli estremi de "Il silenzio"): un rubinetto gocciolante a scandire, tutt'altro che materia: tempo e ricordo.
Tutto è una mera promessa, basta il verso di una civetta per provare una "quasi voglia di piangere", una fatalità, un'inezia, una minuscola nube cambia tutto attorno. Ma c'è una luce, quella del semaforo che indica di proseguire, un po' brusco, su , via via, speranzosi della nuova avventura, comunque vada. Sciò.
(depa)
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