La sala Valéry pare in gran spolvero, questo Febbraio; ieri sera ha proseguito lungo l'interessante percorso tracciato dal messicano Alejandro González Iñárritu: quando uscì nel 2003, "21 grammi", il terzo lungometraggio del regista, sollevò molte reazioni, per lo più positive. Rivisto, secondo me, mostra alcune carenze, vediamo dove.
Salute e lavoro sono i denti dolenti dei nostri tempi (yo!). Pigiando lì, Iñárritu orchestra un crescendo a puzzle in cui viene frantumata la sicurezza di sé, ricostruita pezzo pezzo la fragilità delle esistenze. Quando sulla scena irrompe la morte, tutte le luci si spengono tranne una, quella del dolore. La fede è uno stoppino consunto. Vendetta distribuisce volantini ai più. Espiazione ai pazzi. Perdono ai santi. L'animale sociale può precipitare oltre il crinale e il respiro (ragione) farsi affannoso.
Sul piano narrativo il film coinvolge abilmente, aiutato da una struttura a spirale efficace ed intrigante. Si percepisce però una certa affettazione, capo hollywoodiano dalle cuciture bene in vista (la sceneggiatura di Guillermo Arriaga non aiuta), assieme a qualche caduta di tono: comprensibile, funzionale, la rivelazione giusta nel momento sbagliato, imperdonabile la battutaccia sul cuore (inezia sintomatica). Non tutto luccica, quindi. L'insistenza sull'attimo nodale dell'incidente risulta un orpello, peggio che coreografico, ingiustificato e controproducente. Meglio sarebbe stato, per me, tenerlo sul piano di un ricordo pressante, senza flashback di bassa lega. Sono passati ormai 13 anni, ma il dettaglio del pick-up che passa in primo piano verso il crocevia mortale aveva già il sapore di big babol.
Veniamo al piano visivo: lucido e vorticoso sporco sovrapporsi di oggetti, momenti e profili. Camera in movimento sui barcollamenti del nostro cuore. Arduo restar saldo. La luccicante metropoli dei nostri giorni indugia su tanti specchi rotti per poi ripartire, nel logico caos successivo. Bazar di colori accesi e ingialliti, ruggine assolata e vernice e rossetto già logori...Presto: acqua bianca per sciacquarsi di dosso quest'ospedale!
Meno marcata che in altre sue pellicole, la mano del regista pare limitarsi a seguire tremolante gli interpreti, invero tutti bravi (Naomi Watts e Benicio Del Toro al top, Charlotte Gainsbourg nel suo, Sean Penn affidabile), capaci di farsi carico dei dolorosi e rabbiosi primi piani.
Giocando, secondo me Kiewslowski l'avrebbe diretto volentieri, a modo suo: più asciutto, silenzioso e cupo, meno ridondante.
Preferisco l'Iñárritu dalla crudità più visionaria, come l'ultimissima immagine (piscina vuota), rispetto a quella precedente...
(depa)
Nessun commento:
Posta un commento