Il ponticello immacolato stava già per terminare, la sala Valéry ancora attenta sulla storia di A. Hugo, quando la "Puvioli Produzioni" s'è presentata, fiduciosa e determinata (un po' delirante visto la proposta), con un Elio Petri di culto: "La proprietà non è più un furto" (1973) conclude degnamente la nevrosi avviata tre anni prima...
"Arbitro! Esce Volonté, dentro Tognazzi". Alè, via, carte sparigliate. La Valéry è un po' spiazzata, ma lei, si sa, adora il terrore di Cremona. Poi la pellicola procede, lasciando la sala in un vero subbuglio (non per Baraka che s'è auto-raggomitolato, un classico ormai), ci si guarda, si commenta, si perde il senso dell'umorismo, lo si recupera un attimo dopo. Pellicola autoriale, molto di più di una mano su di una m.d.p., ha una veste più grottesca, astratta e allucinante dei due precedenti capitoli (la mostra degli antifurti). La nevrosi del protagonista è la stessa che, a livelli differenti, attanaglia tutti; è martellio metallico che dalla proprietà conduce all'odio (altro che "aiutarci a difenderci"), è fruscio di cartamoneta che si fa prurito. Il personaggio del padre del ragazzo protagonista, interpretato dal marchio di fabbrica, gigante Salvo Randone, in tal senso è complesso quanto riuscito. Tutti inconsapevoli in quanto parti del meccanismo kafkiano. In stati alterni di veglia: comprendere atrocemente e dimenticare rapido, poi di nuovo da capo, l'unico modo per sopravvivere in questo incubo durrenmattiano, sino alla morte.
Ringraziamo Puvioli per la proposta. Il Cinerofum la inoltra caldamente a tutti voi.
(depa)
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