Ieri sera io ed Elena abbiamo accompagnato il Cinerofum in trasferta. Al "Cineplex", laggiù all'Expò, è in programmazione l'ultimo film di Ron Howard (il nostro Richie Cunningham spelacchiato). Esponente del cinema spettacolare hollywoodiano, ma sempre attento alle riflessioni e alle crisi sottese ad una grande avventura, la regia dello statunitense ben s'adatta ad un racconto che, da uno dei maestri della letteratura americana, racchiude in sé molteplici aspetti dell'affascinante e folle esistenza umana. "In the heart of the sea" coniuga spettacolarità e...profondità.
Il regista vuole il massimo coinvolgimento e, dopo l'astuta sequenza che fa da introduzione al racconto, sarà abile nell'utilizzare montaggio e dettagli (soprattutto "vivi") per guadagnare in realismo. Non che fosse necessario, nel mio caso, dati i ricordi ancora freschi del "Moby Dick" di Melville; ma la narrazione s'appoggia ad un linguaggio cinematografico piuttosto classico, al di là degli effetti e delle ricostruzioni digitali (panoramiche su Nantucket), che correttamente non perde mai di vista il fine: cioè l'affresco di un'epoca, di un mestiere e, quindi, dei loro protagonisti.
Anche il fatto che il protagonista sia un marcantonio di prima categoria (l'australiano classe '83, Chris Hemsworth), con mia grande sorpresa, passa in secondo piano, proprio grazie alla cura che gli autori hanno profuso nell'allestire la sfida centrale della pellicola: tra uomo e natura, quindi tra uomo e sé.
Non ho percepito la suddivisione tra una parte avvincente e una più noiosa; poiché se nella seconda frazione si assiste al tragico naufragio (quindi non solo a vele piegate, ma proprio a remi fermi), ciò nonostante il ritmo rimane alto, se non altro perché alle calcagna, 'sta volta, c'è la morte senza volto. Quindi la sfida per la sopravvivenza ci ha tenuto, me ed Elena, costantemente attenti, senza però dimenticare l'altro prezioso lascito del film: il fascino del racconto avventuroso, frutto di uomini speciali che offrono lo spunto (gli eroici balenieri che, a cavallo tra XVIII° e XIX° secolo, si spingevano di oltre in oltre, tra brama e follia, alla rincorsa dell'enorme demone marino) e di grandi letterati in grado di coglierne forze e debolezze universali (vedere Herman Melville braccare la propria opera, può risultare più emozionante che avvistare il fatidico soffio all'orizzonte).
Hollywood che non perde la bussola, quindi. Abbastanza raro.
(depa)
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