Signor Alberto Lattuada, il Cinerofum. Cinerofum, il signor Albert Lattuada. Finalmente l'incontro s'è realizzato. Seguendo a distanza le iniziative della Cineteca Griffith di Genova, ho deciso anch'io di percorrere qualche tappa della filmografia del regista lombardo, scomparso 9 anni fa, a 90 anni. "Il bandito", film del 1946 con Amedeo Nazzari e Anna Magnani, è il primo appuntamento in sala Uander a lui dedicato. Poetica dolce amara ambientata negli anni del nulla post-bellico, tutto da ricostruire, per chi ne ha la forza.
Accompagnato dal fido braccio destro dei primi passi, il comasco Aldo Buzzi, pure lui recentemente scomparso, Lattuada, qui al suo secondo lavoro e mezzo, riesce a trasferire sulla pellicola la forza disperata di quell'epoca di esistenze contaminate. Tra le tante, quella di Ernesto (Nazzari), in angosciosa ricerca di un po' di calore, "un fernet, un po' di latte caldo, due uova" non possono lontanamente lenire il gelo che attanaglia le membra. E' un cinema sincero, toccante, quasi neorealista (troppo gangster story, genere d'oltreoceano che Lattuada adorava), in cui gli inquieti moti dell'intimo vengono ripercorsi con passione.
Le geometrie (Lattuada e Buzzi erano entrambi architetti), sporche e oscure, delle notti di Torino ancora ammaccata, sono percorse da corpi senza speranza, in balia del soldo facile, del crimine fatale. Tragedia del dopoguerra, quando per un disperato era ancora era umano delinquere, in cui la diabolica e pungente risata della Magnani è l'eco che poggia la neve sul cuore. Maschere espressioniste nella miseria più reale. "Diventare grandi" è roba per povera gente.
Sul finire, quella che pare una forzatura un po' grossolana (l'incidente in macchina) avvicina i lembi del sipario, ma la grazia è mantenuta con tenacia: Ernesto non è un bandito, solo un frutto di quei tempi predoni, dinanzi ad occhi innocenti ridiventa lo zio delle lettere affettuose. Drammatici bivi, alcuni al calore familiare, altri ai piedi di una vetta innevata.
Un'ochetta insanguinata è il simbolo della caos esistenziale, dello scombussolamento delle logiche sociali. Da vedere, ovviamente.
(depa)
Le geometrie (Lattuada e Buzzi erano entrambi architetti), sporche e oscure, delle notti di Torino ancora ammaccata, sono percorse da corpi senza speranza, in balia del soldo facile, del crimine fatale. Tragedia del dopoguerra, quando per un disperato era ancora era umano delinquere, in cui la diabolica e pungente risata della Magnani è l'eco che poggia la neve sul cuore. Maschere espressioniste nella miseria più reale. "Diventare grandi" è roba per povera gente.
Sul finire, quella che pare una forzatura un po' grossolana (l'incidente in macchina) avvicina i lembi del sipario, ma la grazia è mantenuta con tenacia: Ernesto non è un bandito, solo un frutto di quei tempi predoni, dinanzi ad occhi innocenti ridiventa lo zio delle lettere affettuose. Drammatici bivi, alcuni al calore familiare, altri ai piedi di una vetta innevata.
Un'ochetta insanguinata è il simbolo della caos esistenziale, dello scombussolamento delle logiche sociali. Da vedere, ovviamente.
(depa)
Un film che mi ha tenuto incollato allo schermo dal primo all’ultimo minuto.
RispondiEliminaTanto tempo che non ammiravo dissolvenze ad effetto, primi piani toccanti (la Magnani col viso bagnato di grappa è da paure. 10+ anche a lei), una sceneggiatura che ad un certo punto si impenna proprio quando stavo cominciando ad interrogarmi sul perché del titolo, ed un finale da brividi.
Le ultime riprese sui monti, la scena della rapina di capodanno, le espressioni di tutti i protagonisti e le loro emozioni, tutto rimane impresso nella mente di questa storia che suggerisce anche spunti di riflessione storico- sociali. Tutto da rifare e tutto da ricostruire nel dopo guerra e se si partiva col piede sbagliato poco importava essere buoni o cattivi. La fame e la miseria sono terribili e quando ci si trova con le spalle al muro, mai detto fu più pertinente, l’occasione fa l’uomo ladro. Meglio bandito coraggioso, innamorato e altruista che un galeotto morto di fame visto che il destino, per Ernesto, era a quel punto comunque già segnato.
Finalmente posso concludere queste poche righe come non mi succedeva da tanto tempo: capolavoro.
Sir Alberto Lattuada, il piacere è stato tutto nostro.