Follia e terrore

Atmosfera da psycho thriller ieri sera, in sala Uander. Stanley Kubrick ritorna al Cinerofum colla propria opera più agghiacciante, realizzata manipolando immagine e sonoro in maniera impeccabile, cine-mastro creativo e tenace, geniale. "Shining", del 1980, inoltre mette sul tavolo una delle interpretazioni più potenti della storia cinematografica, merito di un Jack Nicholson in stato di grazia, proprio come il suo director. Masterpiece.
Per Jack Torrance, il protagonista di questo film, dalla smorfia che la dice lunga, i prossimi cinque mesi non saranno punto "di pace". Anzi. Un po' perché nessuno si conosce così bene da poter azzardare dei "non a me", poi perché in quel diavolo di albergo c'è davvero qualcosa che non va, di tremendo, orrorifico. Che Jack presenta qualcosa lo si capisce quando preannuncia, alla consorte Wendy, che l'"Overlook" "a te e a Danny farà impazzire". Nella successiva mezz'ora sarà l'ambiente ad agire sui tre personaggi, ognuno col proprio bagaglio. La m.d.p. si concentra sul piccolo Danny (che possiede un sesto senso vivido e potente), più divertente seguire i giri di perlustrazione del sensibile bambino, che star lì ad osservare la tensione farsi panno spesso sul corpo di Jack. Ci si ritrova dopo un mese e a Jack, senza dubbio, potrebbero essere diagnosticati un bel po' di disturbi. Il panico regna sovrano nella labirintica dimora fatta a bella posta per dare il "la" al crescendo di follia e terrore su cui balleranno i tre malcapitati. Assieme a noi, attoniti a chiederci come sopravvivere ai successivi novanta minuti circa.
Orchestrazione magistrale, immagini (colori e moti) che nutrono l'occhio, non s'è mai sazi delle sequenze allestite da parte del regista newyorkese: ipnosi audiovisiva che affascina e sgomenta. Dai titoli di testa che ci conducono al punto di non ritorno, sino alla snervante ciclica ma insolubile scoperta degli spazi, ciascuno col proprio colore d'apprensione, riflesso e propagato nello specchio dei nostri incubi. Film horror nel quale Jack Nicholson può urlare tutta la propria maschera di delirio e ironia. Il suo trasporto raggiunge toni così potenti da obbligare lo spettatore a concentrarsi nei dettagli delle sue espressioni e movenze (i suoi ormai celebri sguardi da pazzo, o quando in un corridoio gesticola nevroticamente avvicinandosi allo m.d.p.).
Serie preziosa di lezioni cinematografiche, da non usurare con sguardo facile, ma da ripercorrere con occhio sempre neonato e affamato: l'accetta si abbatte sulla porta, che è bianca sporca raschiata, già intrisa di terrore, prendendo rincorsa, fiato da un ambiente esterno ignoto rosso, pedinata ed osservata da una m.d.p. anch'essa ormai preda di una follia omicida.
(depa)

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