Vorrei parlare un po' , da solo s'intende, di "Mommy", pellicola presentata all'ultimo "Cannes 2014" che io e Marigrade perdemmo alla conseguente rassegna milanese, causa tutto esaurito. Per i tifosi di cinema, il giovanissimo regista canadese Xavier Dolan (classe 1-9-8-9!) rappresenta un talento i cui primi passi sono da seguire ad occhi lucidi.
Un paio di boxer al vento, percorsi da una brezza leggera, scaldati da raggi languidi, ecco come inizia questo struggente rabbioso racconto di madre e figlio. Una madre che ci prova in tutti i modi, spesso sbagliati (lo spray per ambienti è sintesi della soluzione più facile ed inutile, se non dannosa), ma sempre suggeriti dal cuore, se non dal cervello. E un figlio che, al pubblico, inutile negarlo, sta subito sui coglioni. Hai voglia ad essere comprensivo. Tranquilli, la pellicola percorrerà più spirali di riflessione, alcune davvero ampie e spettacolari, per cui scordatevi retoriche anguste. Prendendo spunto da una legge canadese che, detto in minimi termini, consente ai genitori di rinchiudere i propri figli, in presenza di difficoltà...neuropsichiatriche? caratteriali? problemi insomma, in strutture apposite. Come detto, non preoccupatevi, davanti a voi una storia delle tante, ad ognuno gli strumenti per tirare le proprie somme. Ma di cinema si parla e questa, a mio avviso, ne è un'ottima espressione. Spesso i volti dei protagonisti si stagliano su di uno sfondo vuoto e uniforme che bracca e isola; altrimenti, attorno a loro, una fotografia patinata che fa a cazzotti colla ruvidezza del contesto, gioiosi lens flare che acuiscono il senso di rammarico. In primo piano, una tensione familiare che conduce, attraverso un percorso di provocazione e sfida emotiva, a comprendere il ricorso ad una via di fuga così feroce, come quella separazione, mediante prigionia clinica dell'amato. Gli errori della mommy sono tanti, alle prese col "deficit d'attenzione" (oppositivo provocatorio), ma si sa, la lezione è sempre facile per chi guarda il topo correre in laboratorio. Mille sfumature di rabbia, frustrazione, evasione. Tragedia moderna sulle anomalie della società; il dramma è tutto e la pellicola la racchiude e proietta, con forza dirompente (anche i cari, là fuori, sono liberi rinchiusi). Reggendo, qui sta il trofeo: un'angoscia prolungata che non può che commuovere, ma senza un goccio di grasso. Se non ci sono picchi artistici (per me ci sono e ben inseriti), ne guadagna l'immediatezza; recitazione all'altezza, regia che sprigiona colori, immagini e movimenti audaci (i pericolosissimi rallenti, qui risultano disinvolti e ben inseriti). Temi assai diversi rispetto alla precedente pellicola di Dolan, visto e recensito sul Cinerofum, ma lo stesso battito sincopato che già apprezzai. Annoiarsi è impossibile, il ritmo di una scarica di pugni nello stomaco mi rendi il più felice dei masochisti. Asticella altissima che rende onore a chi aspira a tanto, riuscendovi nel bene (per me) e nel male (?).
E' il primo film di Dolan che esce nelle sale italiane, da non perdere. Poi gli altri, da rintracciare.
(depa)
E' il primo film di Dolan che esce nelle sale italiane, da non perdere. Poi gli altri, da rintracciare.
(depa)
Gran Premio della giura a Cannes 2014, ex-aequo con un certo Jean-Luc Godard...
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