La sala Uander, la settimana scorsa, ha dovuto ritagliarsi spazi angusti per godersi una sana e riposante pellicola. Scheggia impazzita Aporty, potrebbe fare irruzione, scombussolando i piani del Rofum. Così accade, ma lo bracco in tempo, assestandogli il beat di Takeshi Kitano sul muso, spada sguainata sulle antiche tradizioni samurai, insanguinata di vecchi valori e disvalori, sempre attuali. "Zatōichi" è una pellicola del 2003.
Il personaggio di Zatōichi vene da tempi lontani, dai racconti popolari per poi giungere, attraverso cinema e televisione, ai giorni d'oggi. Il regista nipponico ne dà una sua versione, dai tratti ben riconoscibili, seppur rispettoso e riconoscente alla scuola cinematografica da cui proviene. Zatōichi è uno dei tanti ronin (cane sciolto) ramenghi per l'isola del sol levante, con tanto valore e poca moneta, grandi orecchie e piccole labbra. Per di più, lui è cieco, raggiungendo, se possibile, una sintonia col mondo ancora maggiore. Sente i numeri prima, quelli sanciti dai dadi, così come quelli generati dagli uomini. Questione di suoni, quindi, percepiti e suggeriti allo spettatore tramite un montaggio rapido e sintetico, a raccontare un antefatto (che flashback che son due colpi di katana) o uno spettacolo tutt'ora in corso (i contadini "musicati").
Avvolta da una suggestione che, ormai più di dieci anni fa, non colsi all'uscita nelle sale, questa pellicola esalta le capacità poetiche ed estetiche di Kitano. I momenti di forte dramma (mi riferisco, per esempio, alla dolorosa danza del fratello geisha) si alternano a quelli più tipici della commedia in costume; il suo ghigno è un marchio col suo bagaglio di significati programmatici e stilistici. Gli intermezzi campestri, col loro ritmo preparatorio, richiamano un cinema ed teatro autoriale. Sparsi per lo schermo, colori e dettagli dai significati ben precisi; il fascino di una lama, di una vendetta, effetti speciali piegati sapientemente all'estetica, soltanto un goccio allo stupore, uno schizzo rosso che, semplicemente, sta bene lì, sospeso. Anti spettacolarizzazione confermata dal rapidissimo duello finale e, per contrasto, dalla sequenza di chiusura.
A fine serata, anche Aporty soddisfatto; un Leone d'Argento meritato.
(depa)
Avvolta da una suggestione che, ormai più di dieci anni fa, non colsi all'uscita nelle sale, questa pellicola esalta le capacità poetiche ed estetiche di Kitano. I momenti di forte dramma (mi riferisco, per esempio, alla dolorosa danza del fratello geisha) si alternano a quelli più tipici della commedia in costume; il suo ghigno è un marchio col suo bagaglio di significati programmatici e stilistici. Gli intermezzi campestri, col loro ritmo preparatorio, richiamano un cinema ed teatro autoriale. Sparsi per lo schermo, colori e dettagli dai significati ben precisi; il fascino di una lama, di una vendetta, effetti speciali piegati sapientemente all'estetica, soltanto un goccio allo stupore, uno schizzo rosso che, semplicemente, sta bene lì, sospeso. Anti spettacolarizzazione confermata dal rapidissimo duello finale e, per contrasto, dalla sequenza di chiusura.
A fine serata, anche Aporty soddisfatto; un Leone d'Argento meritato.
(depa)
Nessun commento:
Posta un commento