In sala Uander è appena passato il regista tedesco Ernst Lubitsch. S'è presentato, e colgo l'occasione per ringraziarlo, con uno dei suoi film più celebri, nonché da lui amati: "Lo scoiattolo", del 1921, ha le carte in regola per essere la classica pellicola incompresa dagli spettatori (all'uscita nelle sale), troppo spregiudicata, troppo moderna, cosa che noi, quasi un secolo dopo, non possiamo più permetterci. Tutta da gustare.
Questo "film grottesco in 4 atti di Hanns Kräly e Ernst Lubitsch", come riporta la prima didascalia dell'ottima edizione rimasterizzata (grazie alla Cineteca di Bologna, con la colonna sonora tutta italiana dell'ensamble "Musica nel buio"), ha due principali direttrici tematiche: la guerra e l'amore. La prima e, più precisamente, l'insieme di regole che permea l'ambiente militare, vengono rappresentati beffardamente mediante gag e trovate che ne sottolineano aspetti assurdi e ridicoli. Della seconda, seppur non rinunciando a coglierne gli aspetti più buffi (la donna come matrona che comanda in casa e, d'altro canto, quella che viene trascinata per i capelli, essendo una sorta di assodata "pratica comune"), ne viene riconosciuta la forza dirompente tutti gli ostacoli (culturali, sociali). Attorno a questi due temi, Lubitsch apparecchia lo schermo con personaggi e scenografie di grande effetto (che eleganza quegli sbuffi di luce nel buio, durante i festeggiamenti nella caserma). La sintesi concisa ed elegante è una sua prerogativa; ecco, quindi, chiarita, già dopo pochi fotogrammi, quale sia la figura e, soprattutto, la posizione del comandante del fiabesco e buffo fortino di frontiera.
A farsi dirigere dal maestro, un'icona del cinema muto (la polacca Pola Negri) e altri attori abili ad interpretare con disinvoltura le vivaci sequenze. S'avverte un certo distacco tra la recitazione di alcuni personaggi (legati a doppio filo allo stile proprio del teatro e dell'espressionismo tedesco) e quella dei due protagonisti. Quasi a sottolineare una diversa indole che s'apprestava a calcare palchi e studi cinematografici. Ma tutta la pellicola ha un carattere scalpitante (lo stesso utilizzo di mascherine, filtri di varie forme), sia per le allusioni alla sfera sessuale (mai volgari, sempre riuscite), sia per la critica antimilitarista, sia per la dinamicità ed il ritmo dell'intreccio, le cui parti sono allacciate da scenette esilaranti (i banditi che ballano dopo l'intrusione, facendosi trasportare e, quindi acclamando i musicanti; o l'intermezzo bizzarro del gioco del "battimani sul tavolo"). Compreso il finale grandioso, da commedia matura. Ecco la commedia che verrà.
(depa)
A farsi dirigere dal maestro, un'icona del cinema muto (la polacca Pola Negri) e altri attori abili ad interpretare con disinvoltura le vivaci sequenze. S'avverte un certo distacco tra la recitazione di alcuni personaggi (legati a doppio filo allo stile proprio del teatro e dell'espressionismo tedesco) e quella dei due protagonisti. Quasi a sottolineare una diversa indole che s'apprestava a calcare palchi e studi cinematografici. Ma tutta la pellicola ha un carattere scalpitante (lo stesso utilizzo di mascherine, filtri di varie forme), sia per le allusioni alla sfera sessuale (mai volgari, sempre riuscite), sia per la critica antimilitarista, sia per la dinamicità ed il ritmo dell'intreccio, le cui parti sono allacciate da scenette esilaranti (i banditi che ballano dopo l'intrusione, facendosi trasportare e, quindi acclamando i musicanti; o l'intermezzo bizzarro del gioco del "battimani sul tavolo"). Compreso il finale grandioso, da commedia matura. Ecco la commedia che verrà.
(depa)
Nessun commento:
Posta un commento