In questi giorni all'"Oberdan" è in programma una trilogia diretta dal regista austriaco, classe 1952, Ulrich Seidl. M'è capitato l'ultimo capitolo, "Paradiso: speranza" (presentato alla Berlinale '13), convincendomi con alternante equilibrio, probabilmente l'effetto voluto dal regista che punta molto sull'effetto provocatorio delle proprie immagini in movimento, con risultato positivo, ma non troppo.
E quando scrivo alternante indico proprio il mio stato d'animo durante la visione. Questo strano percorso tra gli istinti umani inizia molto soft, con un ridacchiare che lascia perplessi. La chiave comica della situazione pare rudimentale. Lo stile registico, pur (e proprio) nel suo rigore, sa di esercizio giovanile (inquadrature geometriche in ambiente alienante); le righe di giubilo lette per la rete mi spingono a chiedermi: "Precisamente, questo film per quale tipo di cinefilo è?". Tranne qualche piano sequenza furtivo, si avverte una calma piatta al timone. Questa scelta, però, col passare dei minuti dona risalto ai dialoghi, a volte gelidi a volte sinceri, sposta il fuoco su occhi e corpi in perenne movimento (non solo per smaltire). Poi la pellicola prende la seconda piega e, quando il registro sembrava tristemente assodato (l'innocenza), le parti si scambiano di posto (Melli, in due mosse, nel bosco e nello studio, passa al posto del dottore). Gioco audace che infastidendo aumenta il peso psicologico dell'opera, che acquista un po' di fascino, invece di morire nella pura fiacca. Nulla di eccelso eh, sì è vista roba più conturbante e il regista ha fama ben peggiore; Guardai il suo "Canicola" una quindicina d'anni fa e ne ho ricordo più forte.
Melani ha imparato a lottare, il dottore a scappare? Direi di no. Ma che diamine ne so?! Siamo tutti in una maledetta clinica! Fuori tutti, al tanzbar! Con "Bambolina" nel juke-box! Anche col lupo cattivo! Nel bosco sì!...ed ecco, proprio lì, la prima scena davvero senza senso. Quella che, suppongo, ha fatto venire l'acquolina a tutti gli amanti creativi della Settima. A parte questa, visto nell'insieme è un film particolare, né indimenticabile, né da dimenticare.
(depa)
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