Ramenghi senza tempo e frontiere

La sala Uander, martedì scorso, ha fatto sedere comodamente i suoi due afecionados sul divano. In programma tre ore di Kubrick in costume, epopea di un qualunque uomo del proprio tempo, sballottato dall'indole e dal caso: "Barry Lyndon", del 1975, paesaggi incontaminati fanno da sfondo alle piccole e grandi battaglie dell'uomo.
Scenografie naturali immortalate con lenti e giochi di luce ricercatissimi, inquadrature che son dipinti settecenteschi e lì, in primo piano o minuscolo in movimento, Redmond Barry ed il suo fuoco sotterraneo. Fiamme giovanili ancora da imparare a maneggiare che daranno il via al lungo viaggio, col suo saliscendi di tutti, fino alla foce della propria esistenza. Un racconto affascinante, dettagliato, avvincente. Un personaggio più che sincero, Barry, spesso ingenuo; sino a quando vorrà reagire, diventare leone anch'egli, dimentico delle lezioni imparate tra sentieri campestri e battaglie campali. Due baci, stupendamente lenti, non bastano a placare la scalpitante insofferenza di Lord Barry, che lo spingerà ad inseguire senza soddisfazione la brama di successo, classe dopo classe, morto dopo morto. Non un aristocratico, non un popolano, ma una curva della vita, a mezz'altezza: speranza, sogno, avventura, rischio, gioia e prosperità, quindi avidità, superbia, vecchiaia e disgrazia. Morte.
Efficacissimo affresco, ora vivido, ora fosco, di un'epoca di cui siam figli e che non conosciamo o ricordiamo a sufficienza. Un film robusto, con un ritmo notevole nonostante la mole complessiva; anche se a tradimento (ho mentito sulla durata), Elena non ha faticato: direi una prova più che affidabile. Nessun alibi per nessuno, consigliato.
(depa)

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