Mordicani, ortodossi e calcio da tavola

Lunedì scorso, al "Circolino", ho assistito ad una proiezione inserita in una serata intitolata a "Gli svitati", dedicata alla "surreale e grottesca comicità italiana". E poteva restare escluso da questo appuntamento Dario Fo, il menestrello delle coscienze che vien da Sangiano? "Lo svitato", del 1956, è un esercizio di surrealismo piuttosto spinto (come dev'essere!), diretto da Carlo Lizzani e scritto a più mani, tra cui regista e protagonista, lo stesso Fo.
Il regista romano questa volta si presta sorridente, lui più dedito ad un cinema realista dalle tinte più cupe. E qualcosa si perde. Per quanto un trentenne e scatenato Dario Fo caracolli di qua e di là, dentoni sempre avanti e sguardo sempre lontano, alla lunga il gioco mostra le cuciture, perdendo in ritmo e fascino. Le vicissitudini di Achille sono abbastanza originali e incessanti. Ma a mancare è l'amalgama che serve ad un film per condurre sino alla fine lo spettatore, allietandolo col registro intrapreso. I motivi per lasciarsi cullare da una Milano che non c'è più, da un mondo che esiste solo ad occhi chiusi, ancor di più. Vedere lo stravagante e gesticolante "Achille" Fo che si precipita nel palazzone di Piazza Cavour e attraverso l'atrio che mi hanno accolto per primi, più di otto anni fa, mi ha commosso, distraendomi momentaneamente dal surrealismo a ritmo vorticoso di tip-tap, se non di corsa a rompicollo, che pervade la pellicola. Altra pausa è per il volteggio dell'angelica Giorgia "Elena" Moll (madame Franca Rame, dalla sua, era un'esplosione di calore), piombata sull'asfittica vita dell'aspirante  giornalista. Per il resto si scatta con l'immaginazione per fuggire dal grigio che Dario Fo sa raccontare così bene. Come detto, è un gioco rischioso che alla lunga logora un po' persino il il pubblico milanese sulla Martesana (durante le sequenze canine, qualche sbadiglio emerge)..
Al "Circolino" il solito ringraziamento per l'ennesimo spunto. Al compagno Lizzani, lanciatosi, pure lui, verso l'unico mondo giusto, il saluto del Cinerofum, con l'impegno di scorrazzare più spesso nella sua fitta opera.
(depa)

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