La settimana scorsa, nonostante il primo preoccupante freddo, il Cinerofum col bavero alzato si è incammninato verso lo Spazio Oberdan, dove c'è in programma una chiacchierata col regista sudcoreano che ha vinto l'ultimo Leone d'Oro. Con l'egocentrico "Arirang" (2011), Kim Ki-Duk ha voluto mettersi in scena, raccontando a ruota libera un suo smarrimento e ciò che gli sta attorno. Ma, a conti fatti, quanto libera?
Mi chiedo quanto questo "Arirang" sia stato girato di getto, perché, lo ammetto, a tratti ho subito il fascino di un'opera che ha gli abiti dello straccione, ma offre le riflessioni di un simpatico ubriacone d'osteria, un po' banali, un po' profonde, un po' deliranti, un po' geniali.
D'altronde Kim Ki-Duk non sarà un Premio Nobel della scienza ma una sua dialettica cinematografica ce l'ha. E questa sua "struttura" mentale dev'essere pur costruita su tubi Innocenti (ma) ben saldi.
Chiacchiero anch'io dai. E poi, è evidente, l'intelligenza con cui il regista/protagonista si preoccupa di smorzare i momenti che potrebbero apparire infantilmente solenni o, se preferite, si guarda bene dal far delle proprie parole (e lacrime) delle sentenze illuminanti. Il rischio non è poi così alto, verissimo, in ogni caso a volte dialogare serve per creare, inventare, scoprire novità assolute, altre per conoscere il puro e semplice pensiero dell'interlocutore. Va bene così. Il docu-film non è noioso. A parte che la voglia di vedere quella fatidica scena di "Dream" che ha causato lo "shock" del regista, spingendolo all'eremitaggio, ormai è diventata una necessità, uscendo dalla sala si ha la sensazione di conoscere un pochino di più il regista che quest'anno ha sfornato un ottimo film come "Pietà".
Non sarà mai un'offerta sensazionale da "Amici, Arirang!", però è un buon esperimento con qualche efficace idea (il dialogo con l'ombra, la testa di pesce, le bussate ignote e altro).
Mettetelo all'ultimo posto della lista to-view.
(depa)
Uno sfogo forte e di classe di Kim che si presenta e si fa conoscere più direttamente, e poco importa se un po’ parla il personaggio che si è creato ad hoc per questo film o se esprime realmente il Ki-duk -pensiero: lui è la sua arte. L'ho sentito, visto, conosciuto e con i suoi occhi. Bello.
RispondiEliminaUna pellicola che consiglio ai suoi estimatori, non a chi si sta avvicinando a lui.
Ps: Meno male che si è ripreso…