Correva l'anno 1940 e Charlie Chaplin aveva 51 anni e più d'una ventina d'anni di carriera cinematografica alle spalle. I tempi erano maturi per l'opera massima di questo genio immortale e impareggiabile della settima arte. Quell'opera completa, superiore, l'"opera prima". Quello che per alcuni fu "L'infinito" di Leopardi per la letteratura, la "Nona Sinfonia" di Beethoven per la musica, "La Gioconda" di Leonardo per la pittura, per me fu "Il Grande Dittatore", scritto, diretto e interpretato da Charlie Chaplin, per il cinema.
Un'opera impareggiabile per bellezza estetica, sapienza tecnica, interpretazione, trama e contenuti.
Una storia che non si può raccontare, non va raccontata, ma va vista e vissuta.
Tutti infatti conosciamo i fatti politici di quegli anni, ma solo questo maestro del cinema poteva proporceli riuscendo a farci ridere di gusto di fronte ad una scena della prima guerra mondiale grazie alla sua, mai completamente abbandonata, "pantomima", prima muta, ora addirittura perfezionata grazie all'avvento del, all'inizio da lui tanto odiato, sonoro; sorridere davanti ad un attacco al ghetto da parte dei soldati nazisti grazie alla sua inconfondibile mimica e a piccole e grandi gag; e poi farci preoccupare per le sorti di questo simpaticissimo e indomito barbiere ebreo e dei suoi amici; e poi ancora ridere grazie ad una esilarante parodia dell'uomo che allora stava terrorizzando il mondo intero; e infine commuoverci quasi fino alle lacrime con quella dedica finale che il barbiere fa alla sua amata Hannah, a conclusione del discorso che si trova a pronunciare al posto di Hitler (Hynkel nel film) che è un monologo entrato nella storia del cinema ed è una forte e decisa denuncia contro quel sistema e, in generale, tutti i sistemi che annientano l'istinto primario dell'essere umano, ovvero la tensione naturale alla libertà e all'amore, e quindi alla felicità.
Due ore d'emozioni di ogni genere, e l'emozione vissuta e poi trasmessa è arte.
Ringrazio Matte Villa per avermi prestato "La mia vita", autobiografia di Charlie Chaplin, attraverso la quale ho conosciuto e sono rimasto fortemente affascinato dall'uomo, oltre che dal genio. Un uomo forte, sensibile, creativo, determinato, onesto, umile, passionale e compassionevole. In una parola: un artista.
(Ste Bubu)
Ottima recensione bro!
RispondiEliminaForkas
Mannaggia a me, non l'ho trovata l'opera perfetta di cui hai scritto, ma di certo è un film "pesantissimo" se pensato, realizzato e visto in quel 1940. Si capisce benissimo perché l’autore affermò che, dissotterrate le atrocità di quel regime bastardo, non avrebbe realizzato quest’opera satirica. Però lo fece e, anche se preferisco il Chaplin muto (“Luci della ribalta” escluso, emozionante), la parola in questo caso ha reso possibile l’imitazione del dittatore scolpita nella storia del cinema e non solo.
RispondiEliminaSenza il sonoro, sarebbe rimasta la scena del mappamondo, il punto più alto della pellicola (assieme alla “scalata delle sedie” che in versione “muta” non avrebbe perso nulla), d’altro lato non ci sarebbe stato l’ultimo discorso che, per quanto significativo ed emozionante, rappresenta un forzatura nell’opera del grande artista londinese.
Secondo me non si ride così tanto e ci mancherebbe. Anzi, il sangue si raggela nel constatare come l’assurdo (in quella parentesi storica? No, senza parentesi, tutto il deprimente libro dell’uomo incluso) fosse diventato il normale, tutti i valori a ramengo, stravolgimento della ragione. Lo sapevamo, Chaplin ci ha dato un’ulteriore via per non dimenticarlo. Ma, al di là del macabro sfondo della pellicola, qualche gag risulta tirata per le orecchie sia negli anni del sonoro, sia nei tempi interni della pellicola (padellate sulla testa, vernice e torte in faccia, etc…).
Ne preferisco altri, ma i film di Chaplin devono essere visti tutti.
A distanza di mesi dalla mia recensione, mesi nei quali ho approfondito la conoscenza di Chaplin (e del cinema), ci tengo a dire che sono d'accordo con te sul fatto che, a livello di "perfezione", possiamo dire anche di "qualità", certi capolavori come "Il monello", "Luci della città", "La febbre dell'oro" e, a mio gusto, ci butto anche "Il circo", sono probabilmente superiori.
RispondiEliminaTuttavia, oltre quello di positivo già scritto da entrambi, vorrei sottolineare anche il fatto che questo è il film nel quale Chaplin ha messo tutto quello che poteva, cercando di andare oltre "la risata e la lacrima". Attraverso questa pellicola, tra una gag e l'altra, decise, una volta per tutte, di esprimere chiaramente quello che era il suo pensiero ideologico-politico. Per questo film decise addirittura anche di sacrificare la figura del vagabondo, che sapeva sarebbe morto nel momento in cui avesse parlato, facendogli dire, per lo meno, quello in cui lui credeva veramente (e, come hai sottolineato tu, alcune pantomime molto valide, seppur, è vero, magari accompagnate da qualcuna un po' "tirata per le orecchie", le aveva evidentemente ancora in canna).
Comunque sia, grande Chaplin!... Giusto! Guardiamoli tutti!