Allo Spazio Oberdan, nelle settimane trascorse, c'è stata una rassegna dedicata al regista austriaco Fritz Lang; tra una prima parte di qualche celebre opera in programma il venerdì pomeriggio e relativa seconda parte la domenica mattina, sono stato "costretto" a sventolare bandiera bianca più volte dinanzi a veri e propri pilastri portanti del Cinema. Ciò nonostante sono riuscito, qua e là, a scovare qualcosa. Per esempio, qualche settimana fa mi sono imbattuto in "Spione" (tradotto in italiano con "L'inafferrabile"), tra gli antesignani del genere spionaggio, nonché dell'"Agente 007" più famoso, nonché del "Joker" che tutti conosciamo. Questo film del 1928 mostra qualche immaturità nell'intreccio, ma nemmeno una ruga per inventiva ed originalità nella realizzazione.
Anche questa volta, dopo "Destino", l'audio realizzato in sala da un piano (antico) e da un campionatore (moderno), reinventando, per l'occasione, l'emozione che accompagnerà la visione del film. Vedete cosa può fare un muto? Lo "guardi" con un audio particolare (accompagni un buon piatto con un vino diverso...) e il risultato sarà che voi in quel momento avrete visto un pezzo unico. Vabbè, torniamo a noi. Fritz Lang, esponente dell'espressionismo, nonché di un modernismo e di una narrativa tutta sua, si mette in gioco da subito. Tra le prime inquadrature c'è uno splendore: un motociclista inquadrato dal basso, la m.d.p. a sinistra della ruota anteriore. E si parte così, poi la pellicola mantiene il ritmo folle di quella corsa in moto. E' questa la forza di "Spione", le immagini si accavallano, con tecnica ricercata e innovatrice. I personaggi sono maschere che sintetizzano, gridandolo, il carattere dei personaggi. La sceneggiatura della moglie del regista, Thea von Harbou, scivola su qualche passaggio un po' telecomandato (imperfezione che sporca pellicola ben più moderne, anagraficamente), ma lo spettatore segue lo svolgersi degli eventi cullato nel viaggio fantastico, senza intoppi.
Gli oggetti tutti acquistano significato denso e molte sono le inquadrature che mostrano la padronanza della luce del "regista col monocolo". Maniaco della perfezione, ciò nonostante non mostrò mai timore di "tirare la corda", ben sapendo che lo strumento cinematografico ha un potenziale enorme: lo "spazio" nella mente dello spettatore; il quale è coinvolto direttamente (la pistola che lo punta) ed è chiamato a non limitarsi a chiedersi se i conti tornano (come finisce Sonia nella stanza di "N.326" o come smascherano "Haghi" nel finale), bensì a metterci del proprio nel completamento della scena e dei personaggi (fanno da spunto i tratti loro somatici accentuati e i loro tic).
Quindi, anche se, come quando "N. 326" resuscita tra le macerie con la lucidità di un cecchino, la sala si è lasciata andare in un risolino affettuoso, la consapevolezza del tributo che tutto il cinema successivo debba riconoscere ad uno dei primi e più grandi rappresentanti, aleggia costante tra le poltroncine. Quantomeno, quel Bond dal nome più ptonunciato, seguito a ruota dagli autori del fumetto dell'uomo pipistrello più famoso e non solo. "Haghi" è tra i primi cattivoni cinematografici come li abbiamo imparati a conoscere: solo, ricco, freddo, geniale,
Infine, in ogni inquadratura, ogni "trovata" (la visione onirica del funzionario giapponese, per dirne una), si tratta di Lang. Fritz Lang.
(depa)
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