Fatti a fette

Il terzo lungometraggio, in concorso, presentato al Trieste Film Festival di quest'anno (2021), è stato un rigoroso bianco e nero sull'amore in guerra fredda. La gioia di vivere impantanata nella disumana demagogia. "Francuz" ("Il francese"), pellicola russa del 2019, scritta e diretta dal moscovita classe 1941, Andrej Sergeevič Smirnov, pare una lezione di cinema.
L'ottuagenario regista, dalla sua "fredda casa di Mosca", col ghiaccio negli occhi, ci augura buona visione. E non si impiega tempo per cogliere l'eleganza del suo bianco e nero. Sinuoso, volteggiante. Sui buffi omuncoli delle società di ieri e oggi. I racconti di Mania, di arresti, gulag, morti e guerra. Anni '50 del XX° secolo, anni bui. Prima il popolo o l'individuo? Cicchetto di vodka soffocante e fetta di formaggio sulle scale, tra buoni sconosciuti. "Speravamo solo che Truman ci sganciasse un'atomica in testa". Il jazz con la sua nouvelle vague di freschezza, Charlie Parker dal vivo o sulle onde corte, apparente liberazione. E consapevole ottundimento. "Non vietato, ma non permesso". Le chiare parole del nonno, altro che "un po' suonato". In guerra fredda, le macabre salvifiche rievocazioni di quella infuocata, all'interno del regime e fuori. I versi caldi d'amicizia, d'un certo Kushner (Alexander). "Sembra un'opera. Il ritorno di una vita lontana". Il venticinquenne Pierre Durand, osserva, indaga quasi per scusa, con acume e ironia, e si getta. Nella vita e nel passato. Poi si ricompone, tanta è grande l'amarezza. "Il senso dell'umorismo spietato del destino".
Tocco d'estrema delicatezza, sugli spiriti feriti di milioni di individui. Sulle vite travolte da macchine statali e i loro "segreti da fette biscottate". Ottima lezione.
(depa)

1 commento:

  1. "In memoria di Aleksandr Ginzburg e dei suoi amici, che hanno deciso di vivere senza mentire"

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