Il Cinerofum cerca di guardare in ogni direzione. Dalla preistoria cinematografica, nelle sue varie ere, alle recenti uscite ("quello che se po' fa'..." stabilisce lo storico monito del blog), quindi uno sguardo agli ultimi 20 anni, così ricchi e diversi per contenuti e stili. Michael Mann (Chicago, 1943) rappresenta uno dei prodotti della Hollywood che, tra le pieghe dell'action movie (genere così "disinvolto" negli anni Ottanta), vuole instillare solide qualità autoriali. "Collateral", del 2004, rappresenta un ottimo esempio di questo intento artistico.
Tutto in una notte, asettiche luci d'aeroporto, poi in apnea nel torbido e lucido della Città degli Angeli, megalopoli perduta che pare a disposizione di qualsiasi delitto (ci si potrebbe chiedere perché certe scene, scontri a fuoco selvaggi, sono plausibili solo negli U.S.A.: provate a girarle ad Arma di Taggia...good luck America!). La sceneggiatura incalza al battito del crimine. Suggestivi e necessari intermezzi areo-musicali ingrossano la qualità della pellicola, che è d'autore, ricercatissima sul piano visivo: giochi di luce, riflessi, superfici patinate metallizzate. Emersioni che danno respiro allo spettatore; per il resto della pellicola il regista braccherà i volti dei protagonisti, laggiù, in mezzo a quel pazzo brulicare, dove le inquadrature possono ben farsi più sporche, poiché là il caos è assicurato. Sempre a suo agio Mann, sfruttando anche l'accattivante colonna sonora che qui è parte attiva, sia per i personaggi (in taxi pour parler, in disco complice ed inciampo), sia per noi (classicamente).
Quindi scrittura sopraffina, senza troppe concessioni a ingredienti nocivi ("conservanti", "edulcoranti"), ciononostante conservando l'appeal necessario affinché il botteghino non segni "rosso". Coloranti naturali, quasi impercettibili al gusto ("Perché devo andarci io?", chiede Max di fronte alla complicata missione, "Non voglio farmi vedere, conservo l'anonimato"; "Ah chiaro, grazie tante!", rispondiamo all'unisono Elena ed io). Freddo ma non calcolatore, il nostro Vincent: lascia Max (legato) e, soprattutto, borsa in balia della notte, infine non cambia mai vettura nel suo giro di "commissioni". D'altro canto, la silenziosa consapevolezza di Max (quella di essere già morto) è pepe del Kerala. Grazie, come detto, al ritmo incalzante, alla suspense della violenza veloce, nonché alle interpretazioni dei due personaggi principali (m'ero dimenticato che Tom Cruise fosse così tosto, "Solo cool?!").
Sequenze finali, di grande effetto emotivo ed visivo (aridaje), che sono il condensato di quanto ho scritto. Mi riferisco a quella nell'ufficio dell'avvocato, nel buio più confuso, dove le luci della grande metropoli sono tanti fari discordanti, quindi inutili (la telefonata "in diretta" con le finestre dell'ufficio è un tòpos, da "Hitch" a De Palma), o a quella in metropolitana, scandita dal montaggio spezzettato, sballottato tra vetri e lamiere.
Titoli solo in chiusura per questo film intenso e frizzante (prima non ce n'è stato proprio il tempo...).
Vedi Elena che, anche in Sala Valéry, si può ballare roba veloce?
(depa)
Nessun commento:
Posta un commento